Ho parteicpato ad un convegno di analisi quantitativa applicata alla gestione del rischio nei fondi e mi sono imbattuto tra le varie cose in un indice chiamato “Ulcer Index” di cui non solo ignoravo l’esistenza ma avrei vissuto ancora bene senza conoscerlo. Wikipedia definisce l’ulcer index come un indicatore per la misura del rischio azionario ideato da Peter Martin nel 1987. Fondamentalmente si tratta di un indice che parte dal presupposto che la rischiosità storica di un fondo (e di una qualsiasi attività finanziaria) è determinata sia dalla profondità delle sue perdite dai massimi relativi precedentemente raggiunti, sia dal tempo necessario per recuperare tali perdite. In altri termini, la rischiosità storica di un fondo è una misura a due dimensioni (profondità delle perdite e tempo necessario per recuperarle), in quanto nessuna delle due dimensioni singolarmente considerata ci offre un quadro completo del rischio. Cerca di superare le gravi limitazioni che lo sharpe ratio ha per la misurazione del rischio/rendimento dei fondi includendo il calcolo del tempo necessario per il fondo di raggiungere nuovamente, dopo un ribasso, i massimi relativi precedenti. In sostanza maggiore è il tempo di recupero e maggiore sarà l’ulcera provocata dall’ansia al risparmiatore e di conseguenza peggiore sarà la qualità del fondo. Ancora una volta qualcuno cerca di trovare una formula idonea a classificare i fondi per selezionare quelli “giusti” all’interno della categoria. Tutto bene quindi se non fosse che i rendimenti/rischi di un fondo ex post sono poco utili in quanto moltissimi studi dimostrano che non c’è persistenza nei rendimenti dei fondi salvo rari casi. Quindi ben venga l’introduzione dell’ulcer index al denominatore del rapporto Sharpe ratio al posto della deviazione standard ma ancora più importante è il monitoraggio mensile di questi indicatori sui fondi e la classificazione secondo criteri omogenei che ci consenta di osservare il deterioramento del fondo in portafoglio e sostituirlo.
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