In questo articolo vorrei spostare l’attenzione su uno dei indici più famosi al mondo, il Dow Jones. Venne creato nel lontano 1896 da Charles Dow ed era composto da 12 titoli. Nel corso degli anni passò da 12 a 20 e 30 titoli. La rappresentazione che il Dow offre della economia american,a nel tempo, si è spostata dai prodotti agricoli e dagli elementi di base dell’ economia (carbone, acciaio, piombo, gomma e pellame) verso le compagnie tecnologiche, i fornitori di servizi finanziari, manifatturieri e commercio. Nel 1906 l’indice toccò i 100 punti per la prima volta ed oggi ha raggiunto e superato i 25.000 punti. L’importanza di questo indice nel tempo è andata scemando a causa del procedimento di calcolo di questo indice che non è basato sulla capitalizzazione ma sul prezzo. Un metodo ponderato in base al prezzo non riflette il fatto che una variazione di $ 1 per un’azione da $ 10 è molto più significativa di una variazione di $ 1 per un’azione da $ 100. A causa dei problemi associati alla ponderazione dei prezzi, la maggior parte degli altri principali indici, come l’S & P 500, sono ponderati in base alla capitalizzazione di mercato ed è per questo che oggi sono più utilizzati.
Oggi , il DJIA comprende 30 società a grande capitalizzazione, quotate sul nasdaq e sul NYSE che sono scelte soggettivamente dagli editori del Wall Street Journal. Questi, solitamente, scelgono titoli di società che siano stabilmente operanti negli Stati Uniti e che hanno il ruolo di leader nel loro settore produttivo. Nel corso degli anni, le società presenti nell’indice sono state “modificate” per garantire che l’indicatore rimanga aggiornato e rappresentativo dell’economia americana.
Ma il mio scopo non è quello di fare una lezione sugli indici di mkt o sulle metodologie di calcolo quanto piuttosto di analizzarne la composizione e vedere se e come è cambiata nel tempo.
Dal 2018 general Electric non fa più parte del dow jones. È una notizia importante perché General Electric era l’ultima azienda, tra le 30 che fanno parte del Dow Jones, a essere presente fin da quando esiste l’indice e una delle poche a rappresentare ancora l’industria pesante statunitense, inizialmente prevalente nel Dow Jones. Al posto di General Electric, fondata nel 1892 e che produce dalle lampadine ai motori d’aereo, nell’indice è entrata ora Walgreens Boots Alliance, che esiste dal 2014 e si occupa di prodotto per la salute e il benessere.
Nel maggio 1896 le aziende all’interno dell’indice Dow Jones erano 12:
American Cotton Oil, American Sugar, American Tobacco, Chicago Gas, Distilling & Cattle Feeding, General Electric, Laclede Gas, National Lead, North American, Tennessee Coal and Iron, U.S. Leather pfd. eU.S. Rubber.
Un secolo dopo: con lo stesso nome e ancora come società indipendenti, esisteva solo General Electric.
Dal 1986 la lista di aziende all’interno del Dow Jones – che nel frattempo è passato da 12 a 30 aziende – è cambiata più di 50 volte. Nike fa parte del Dow Jones dal 2013; Apple dal 2015 (quando prese il posto di AT&T).
Le società del Dow Jones oggi sono:
3M, American Express, Apple, Boeing, Caterpillar, Chevron, Cisco Systems, Coca-Cola, DowDuPont, ExonMobil, Goldman Sachs, The Home Depot, IBM, Intel, Johnson & Johnson, JPMorgan Chase, McDonald’s, Merck, Microsoft, Nike, Pfizer, Procter & Gamble, Travelers, UnitedHealth Group, United Technologies, Verizon, Visa, Walmart, Walgreens Boots Alliance e Walt Disney.
Nell’ultimo anno le azioni di General Electric hanno perso il 30% per cento del loro valore, mentre il Dow Jones è cresciuto di circa 11% per cento. Dopo l’uscita di General Electric dal Dow Jones la società al suo interno da più tempo è Exxon Mobil, che – seppur prima avesse il nome Standard Oil – è nell’indice dal 1928.
Un fenomeno sempre più frequente è inoltre la vita media di un’azienda che, a causa dello sviluppo della tecnologia sempre più rapido, è sempre più breve.
A questo punto potremmo trovare tanto divertimento nello scovare le società che rimarranno protagoniste del famoso indice per i prossimi decenni in modo da lasciare ai posteri un segno tangibile della nostra abilità ma forse scopriremmo, quando sarà troppo tardi, che il divertimento e la presunzione hanno un prezzo da pagare.
E allora, rivaluteremmo la strategia della diversificazione, la consapevolezza del non sapere, la potenza della statistica che premiano l’investitore che destina la maggior parte del portafoglio “core” secondo i criteri della capitalizzazione del mercato e solo una parte satellite al “divertimento”.