Lo so, lo so…molti di voi leggendo l’articolo avranno pensato “ma devo proprio pagarlo ?”. Beh, se volete la risposta al quesito la troverete in un mio vecchio articolo del 2017 dal titolo “Perchè pagare un consulente finanziario“
Per cui, dato per scontato, che nessun professionista debba lavorare gratis, andiamo a a sviscerare l’argomento fee (parcella) o provvigioni (commissions). Se avete un consulente finanziario professionista, a partita iva, certamente lo pagherete in una di queste due modalità. Avrò dunque il piacere di illustravi le differenze tra le due soluzioni di pagamento che avrete a disposizione evidenziandone i lati positivi e negativi. Vi indicherò, al termine dell’articolo, anche quale sia la mia preferenza e perchè.
Per dovere di cronaca, ricordo che in Italia dal 2019, esiste anche la figura del consulente finanziario indipendente slegato dall’intermediario finanziario.
Il tema è scottante poichè non c’è giorno in cui in Europa non si discuta della revisione della MIFID ovvero della direttiva MiFID II (2014/65/EU), entrata in vigore dal 3 gennaio 2018, che ha sostituito la precedente direttiva MiFID (2004/39/EC) che aveva disciplinato i mercati finanziari europei dal 31 gennaio 2007. L’obiettivo di questa importante normativa è di creare un terreno competitivo uniforme («level playing field») tra gli intermediari finanziari dell’Unione europea, senza pregiudicare la protezione degli investitori e la libertà di svolgimento dei servizi di investimento in tutta la Comunità.
Una parte importante della discussione verte proprio sulla modalità di remunerazione dei consulenti che operano per gli intermediari finanziari. Più di qualcuno vorrebbe un sistema in cui gli intermediari finanziari non percepiscano commissions dalle società prodotto aprendo di fatto la strada alla consulenza a parcella (fee). Questa interpretazione è già stata recepita e adottata da UK e Olanda.
La premessa era necessaria, poichè, la modalità di remunerazione del consulente, ha una conseguenza sul conflitto di interesse che probabilmente è una delle principali cause degli scandali finanziari succedutesi negli ultimi anni, causando in molte situazioni la perdita totale del patrimonio. Lo stesso conflitto di interesse che si presenta tutte le volte in cui vengono distribuiti prodotto inefficienti ai risparmiatori, determinando, danni economici enormi per quest’ultimi e il paese. Basti pensare alla differenza di capitale maturato a scadenza, tra un fondo pensione efficiente e uno inefficiente e ad alto costo, per un sottoscrittore di fondi pensione
Senza scomodare i casi più eclatanti quali Parmalat, Cirio, Finmatica, etc, il conflitto di interesse si verifica in generale ogniqualvolta l’intermediario (nello specifico il consulente) colloca al risparmiatore strumenti finanziari non efficienti e non nell’interesse esclusivo del risparmiatore. Detto in altre parole, se nell’ambito di una corretta pianificazione finanziaria il consulente finanziario è spinto a proporre prodotti finanziari su cui lui o l’istituzione che rappresenta ha un maggiore guadagno, trascurando prodotti della concorrenza che per il risparmiatore potrebbero essere più fruttuosi.
Per cui, fermo restando, che ciascuna istituzione e consulente, ha un proprio codice etico a prescindere dalle regolamentazioni del settore, non vi è dubbio che la diversa modalità di remunerazione dell’intermediario nell’erogazione della consulenza finanziaria, può fare la differenza. Quando l’intermediario, attraverso il consulente, non percepisce commissions sui prodotti che colloca dalle case prodotto avremo la garanzia assoluta che la consulenza erogata sia totalmente priva di conflitto di interesse. Il risparmiatore avrà dunque la certezza che gli strumenti finanziari che avrà nel portafoglio saranno stati scelti per la loro efficienza e nell’esclusivo suo interesse.
Laddove invece, il consulente operi per un intermediario, che percepisce provvigioni (commissions) dalle case prodotto, rigirandole poi al consulente finanziario, ci si troverà in un sistema potenzialmente inquinato in cui il risparmiatore non avrà la certezza che il consulente/intermediario stia agendo nell’esclusivo suo interesse. Il consulente che opera per l’intermediario, dovrà essere quindi dotato di grande etica, e anteporre gli interessi dei suoi clienti ai suoi o a quelli dell’intermediario per il quale lavora, per cercare di garantire la massima efficienza in una pianificazione finanziaria.
Dopo questa breve lettura non so che idea vi siate fatti voi, ma credo che la soluzione a parcella (fee), sia probabilmente la preferita da tutti coloro che desiderano essere affiancati da un consulente finanziario nelle proprie scelte.
Beh, allora problema risolto potremmo dire, infatti anche se non arriverà la regolamentazione che impedirà agli intermediari di ricevere le commissions dalle case prodotto, gli intermediari potrebbero farsi pagare le fees per la consulenza erogata. Giusto ma in Italia questa modalità stenta a decollare, pur mostrando segnali di interesse, essendo chiaro che è molto più facile vendere prodotti finanziari ai risparmiatori facendogli credere che non costano nulla piuttosto che negoziare una fee annua per una consulenza finanziaria palesandone i costi. Potremmo affermare quindi che gli intermediari sono cinici e avidi di denaro ma dall’altra parte ci sono risparmiatori che non sono disposti a pagare la consulenza finanziaria solo se questa produce un risultato positivo a breve termine non riuscendo a percepirne il valore. Invece il valore aggiunto della consulenza è tangibile quando la pianificazione finanziaria viene fatta utilizzando strumenti efficienti, scelti con criteri oggettivi quantitativi e non discrezionali. Quando l’asset allocation di un portafoglio viene costruita con metodologie universalmente riconosciute. Quando i ribilanciamenti, monitoraggi e qualsiasi altra scelta fatta nell’ambito della pianificazione successoria a quella previdenziale viene fatta per migliorare il rapporto costi/benefici per il cliente. E’ largamente dimostrato che una consulenza indipendente porta ad una riduzione dei costi pagati dai risparmiatori rispetto alla modalità commissions.
In definitiva, una consulenza erogata in assenza di conflitti di interesse, porterà nel tempo a risultati migliori ma affinchè possa essere erogata dovrà trovare un bacino di fruitori disponibili a pagarla a parte.
Nei miei articoli non sono solito a fare accenni all’intermediario per il quale lavoro, ma questa volta dovrò fare un’eccezione. Finecobank mi ha dato la possibilità di scegliere la modalità con cui essere pagato:
– Fee only, ovvero direttamente dai clienti, con addebito sui conti Fineco delle fees mensili per la consulenza. Un servizio completamente privo di conflitti di interesse non prevedendo alcuna retrocessione dalle case prodotto di provvigioni (commissions) a Fineco e e a me. Servizio che prevede inoltre l’azzeramento delle commissioni di negoziazione degli strumenti finanziari.
-Commission, retribuzione a provvigioni. Fineco retrocede al consulente una parte delle commissioni di gestione degli strumenti finanziari collocati al risparmiatore nell’ambito della pianificazione. In questo caso il cliente non vede costi palesati in addebito sul conto anche se nella maggioranza dei casi sostiene costi maggiori.
Come dire occhio non vede cuore non duole.
A voi la scelta, la riflessione…, per quanto mi riguarda continuerò a svolgere il mio lavoro come ho sempre fatto mettendomi dall’altra parte della scrivania, chiedendomi sempre, se le proposte che sto facendo le farei a me stesso !