Che sbronza !

Bere bene è sempre buona cosa, e a volte bere qualcosa in più può generare quell’euforia temporanea che può dare origine ad uno stato di effimera beatitudine. Ma Mr market sembra proprio che questa volta abbia voglia di esagerare con i drinks e abbia preso una bella sbornia. Voi potreste dire: “cosa c’è di male se gli organizzatori della festa continuano a portare carrelli pieni di drink” ? “Cosa c’è di così sbagliato se i partecipanti si divertono un pò?” Sfortunatamente è dato sapere che, quando si passa dall’euforia temporanea di un bicchiere in più alla sbronza, le feste degenerano, sfociando in comportamenti inappropriati che a loro volta causano danni ingenti al proprietario di casa.

Nei giorni scorsi, esattamente mercoledì 10 novembre 2021, è sbarcata sul Nasdaq la sesta più grande IPO di sempre. Il suo nome è Rivian, un produttore di pick up, suv e furgoni elettrici, partecipata al 20% da Amazon e al 13% da Ford.

Voi direte: ” e allora ?”

Il punto è che Rivian è stata fondata 12 anni fa e da allora non ha venduto nessun veicolo fino al giorno della quotazione in borsa, in cui risulta abbia venduto i suoi primi 150 pick up !

Potremmo considerare quest’ultima una bella notizia, se non fosse che quei 150 veicoli sono stati consegnati ai dipendenti dell’azienda ! Ma fino a qui nulla di così strano, potremmo pensare che hanno quotato una azienda che ha buone prospettive…certo ma…

104 MLD di dollari !

A tanto ammontava la capitalizzazione raggiunta da Rivian durante la prima seduta di borsa. E allora a questo punto, direi che potremmo definire non solo strano ma anche inquietante, sapere che Mr market sta valutando 104 MLD un’azienda che non ha ricavi. Ma Mr market non sbaglia mai perchè ha sempre tutte le informazioni disponibili dunque se la valutazione è questa va bene così…

E Rivian è solo la punta dell’iceberg. Nei soli primi 6 mesi del 2021 sono arrivate sul Nasdaq 410 IPO battendo ogni record precedente. E tra queste ci sono, rimanendo nel settore automotive, Sono Motors, Lucid Motors, Nio, Workhorse group, Arcimoto, solo per fare qualche nome. Tutte aziende, come le 410 nuove aziende arrivate sul Nasdaq nel 2021, che hanno trovato investitori compiacenti e molto disponibili in fase d raccolta di capitale. Investitori attratti dalla possibilità di fare denaro in tempi brevi, in tempi di vacche grasse.

Tutti vogliono salire sul treno diretto a Wonderland e a nessuno interessa conoscere i conti di quelle aziende, dei settori in cui operano e dei margini che hanno. Discorsi obsoleti e noiosi.

Qualsiasi libro di analisi di bilancio, di analisi fondamentale, sembra improvvisamente anacronistico. Un tempo si compravano gli utili, cercando di capire quanto era giusto pagare quegli utili per rientrare dell’investimento con i profitti dell’azienda in tempi ragionevoli, poi si è passati all’epoca in cui si compravano i ricavi di una azienda senza curarsi degli utili. L’importante era che l’azienda aumentasse il fatturato. E qui le aziende hanno sguazzato nel mare di liquidità disponibile a costo zero per fare acquisizioni e massa critica. Ma sembra che anche questi tempi siano passati e oggi non si comprano più utili, non si comprano più ricavi, si comprano sogni!

Ma io sono qui per dare la sveglia e per condurvi fuori dai sogni riportandovi alla realtà. la realtà dei numeri, che è quella che prevarrà, quando la liquidità calerà e Mr market avrà smaltito la sbronza. E allora analizziamo le quotazioni dei principali indici rapportandole alla media degli utili degli ultimi 10 anni aggiustata per l’inflazione, dati cortesemente forniti da Robert shiller professore all’università di Yale, Nobel per l’economia nel 2013.

Nella tabella di cui sopra, avete il rapporto prezzo/utile aggiornato al 30/06/2021 dei principali mercati al mondo. Se prendiamo quello USA vediamo che trattava a 37,73 contro una media storica di 16,89.Un massimo di 44,19 toccato nel dicembre 1999 ed un minimo di 4,78 nel dicembre del 1920. Il decennio susseguito a questi due periodi hanno espresso ritorni che ben conosciamo nel primo periodo. Per il periodo dei ruggenti anni 20 ed il ritorno del mercato azionario vi rimando ad un grande classico della lettura di John kennet Galbraith “il grande crollo”.

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Alla ricerca dell’El Indio Dorado

Potremmo semplicemente definire Eldorado quel posto nel nostro immaginario in cui troveremo tante pepite d’oro e pietre preziose, in cui tutti vivono in pace tra loro godendosi la vita.

Ma esiste davvero ?

A giudicare dalla storia sembrerebbe che, pur non esistendo realmente, siamo tutti alla ricerca continua del mondo dorato. Verso la metà dell’800 in California, Nebraska, kansas si sperimentò qualcosa di simile. Si parte sempre da una causa scatenante che solitamente è rappresentato dal monotono lavoro quotidiano e dalla narrazione di qualche pioniere che si è arricchito inseguendo un sogno…

Nella fattispecie la vicenda ebbe inizio il 24 gennaio 1848, quando il pioniere svizzero Johan Suter (americanizzato in John Sutter) scoprì un filone del prezioso metallo. Sutter era arrivato in America nel 1834 in cerca di fortuna e si era stabilito sulle rive del fiume Sacramento. Lì ottenne dal governo messicano una concessione per costruire un fortino contro gli statunitensi. Nonostante il fatto che il territorio fosse stato invaso, Sutter stabilì buoni rapporti con i nuovi padroni. Il filone aurifero venne scoperto mentre si stava lavorando alla costruzione di una fabbrica.
Sutter tentò di mantenere segreta la notizia, ma questa si diffuse molto rapidamente e migliaia di cercatori accorsero da tutto il mondo. Centinaia di migliaia di cercatori d’oro, perlopiù improvvisati, poveri e disperati, si riversarono in california ed in particolare in Canada nel klondike ; cercavano la fortuna, che però arrise solamente ad una piccolissima minoranza.

Oggi, vorrei paragonare la ricerca della pepita d’oro più grossa, all ricerca della nuova Apple, Microsoft, facebook, Google. Non credo ci sia bisogno di parlare di chi si è arricchito negli ultimi 20 anni possedendo queste pepite. Oramai è storia. L’analisi che vorrei fare è se sia possibile andare alla ricerca di aziende prodigiose per arricchirsi da qui ai prossimi 20 anni. Per cercare di capire se ciò sia possibile, e se convenga spendere risorse e tempo per questo obiettivo, guardiamo la slide qui sotto

Distribuzione dell’extra rendimento dei singoli titoli vs. Russell 3000

L’immagine di cui sopra, riporta la distribuzione degli extra rendimenti annualizzati realizzati dai singoli titoli, appartenenti al più largo ed inclusivo indice USA. L’analisi è profonda sia come campione rappresentativo del mercato, che per lunghezza dell’orizzonte temporale analizzato, 40 anni.

Appare subito evidente come la parte destra del grafico ( quella con extra rendimenti positivi) sia meno popolata. Questo sta a significare che il numero di aziende, appartenenti all’indice, che ha superato quest’ultimo negli ultimi 40 anni è inferiore, nella maggioranza dei casi, al numero di aziende che invece ha sottoperformato l’indice stesso (parte sinistra).

Tradotto, sono poche le aziende che hanno fatto meglio, ma moltissime le aziende che hanno avuto un rendimento annualizzato peggiore dell’indice. Ma la nostra analisi deve occuparsi anche di un altro aspetto, ritenuto a ragione fondamentale per chi deve occuparsi di gestire ricchezza altrui. Analizzare il cosiddetto “worst case”. Vale a dire che, prima di guardare quanto potrei guadagnare, dovrei capire quanto potrei perdere nella situazione peggiore, prima di decidere se correre il rischio.

E qui viene il bello, ben 750 aziende circa di questo paniere, hanno avuto un extra rendimento inferiore del 70% dell’indice principale. Ben circa 2000 azioni, in questo arco temporale, hanno una extra performance negativa annualizzata (rispetto all’indice ) maggiore del 20% del rendimento dell’indice.

Dall’analisi emerge dunque che se ho formato un portafoglio concentrato su poche aziende, la probabilità di avere selezionato aziende/azioni che battono l’indice Russell 3000, gioca a mio sfavore. Ma anche che, la probabilità di perdere performance rispetto all’indice principale è molto alta. Ciò, dovrebbe dissipare ogni dubbio circa la reale possibilità di comporre per i prossimi 20 anni un portafoglio di singole azioni concentrato e pescate con l’idea di trovare le pepite più grosse setacciando nel mondo tra le 110.000 aziende quotate (senza tralasciare quelle che si quoteranno). La probabilità rasenta lo zero.

La morale è semplice. Non inseguiamo i sogni ma il pragmatismo. Il grosso delle nostre risorse finanziarie deve essere ampliamente diversificato e ciò è possibile farlo solo con l’acquisto di Fondi/ETF e risparmio gestito in generale. Se vogliamo costruirci un portafoglio di singole azioni per motivi di efficienza fiscale ad esempio o per semplice diletto occorre farlo con un minimo di diversificazione numerica (non meno di 40), per aree geografiche, capitalizzazione, settori e così via.

Diversamente se gioco deve essere divertiamoci diversamente.

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La magia del differimento dell’imposta

Come tutti sappiamo, anche negli investimenti finanziari, il sistema tributario italiano prevede che vengano versate all’erario le ritenute fiscali relative ai profitti realizzati. In particolare, per una regolamentazione tutta italiana, è previsto che i redditi generati da investimenti siano divisi tra redditi di capitale e redditi diversi. In generale, e senza entrare nel dettaglio, potremmo raggruppare tutti gli interessi periodici in redditi di capitale e tutte le plusvalenze  realizzate con un titolo azionario /obbligazionario, in redditi diversi. Per quanto riguarda i primi ovvero redditi periodici generati da investimenti azionari ed obbligazionari come dividendi azionari/cedole, la banca trattiene la ritenuta fiscale e la versa all’erario. Stessa cosa avviene in regime amministrato (se il cliente non sceglie il dichiarativo) per le plusvalenze generate dalla compravendita di azioni, obbligazioni, certificati, fondi, etf, etc.

In questo articolo ci soffermiamo sui redditi diversi ovvero sulle plusvalenze generate da investimenti finanziari. Ma non mi soffermerò sulla normativa sul capital gain (che auspico venga modificata), sul perchè dell’iniquità, ne sulla diversa tassazione applicata ai vari strumenti finanziari e della compensazione tra redditi diversi e di capitale. Non credo sia questa la sede adatta, e agosto, il periodo meno adatto per parlare di normative fiscali. Il focus verrà rivolto invece su un aspetto poco valutato dagli investitori:

-le conseguenze, sul risultato di un investimento, del differimento d’imposta

Certo, di prima acchito, può sembrare banale il ragionamento. Se chiedessimo a più persone se è meglio differire il pagamento di un imposta o pagarla subito, probabilmente tutti ci risponderebbero che è meglio differirla. Ma oggi vogliamo chiederci perchè e soprattutto quale valore ha il differimento in un investimento azionario. Infatti, come al solito, quando parliamo di soldi, se non ragioniamo con i numeri i concetti rimangono in aria e non ci rimane nulla impresso nella memoria. Come noi siamo il frutto delle nostre esperienze, anche i nostri investimenti sono il frutto delle nostre credenze, esperienze ed emozioni. E’ bene quindi che i concetti di base di un buon investimento siano ben impressi nella nostra mente.

Per trasmettervi il concetto e per semplificare supponiamo di avere investito 10.000 euro per 10 anni ad un tasso annuo del 2,5% e del 5%.

Supponiamo inoltre di proporre due casi per ciascun investimento. nel primo caso l’investitore decide di incassare la cedola annua e lasciarla sul conto o spenderla mentre nel secondo caso l’investitore decide di reinvestirla.


Nel primo caso il Cliente decide di incassare il rendimento come cedola annua; nel secondo caso, invece, il Cliente sceglie di reinvestire il rendimento.

Come appare evidente, la differenza di risultato che si ottiene se si reinvestono i rendimenti, anziché incassarli sotto forma di cedola, è piuttosto importante. E lo diventa sempre più al crescere del rendimento annuo. Anche la durata dell’investimento può essere una leva con cui raggiungere un obiettivo riducendo il capitale investito iniziale, proprio perché è possibile sfruttare il rendimento nel tempo e l’effetto della capitalizzazione.

Ma perchè vi ho parlato di tassazione e ora di capitalizzazione composta …

Il perchè è presto detto. Prendiamo il caso dell’investitore B che investe 10.000 euro per 15 anni al tasso del 7% annuo. Supponiamo una tassazione del 26%. Al termine di ogni anno incassa 700 euro lordi e paga all’erario 182 euro. Quindi avrà una rendita annua di 518 che supponiamo non reinvestirà. L’investitore A invece decide di non incassare la cedola e così facendo di differire il versamento dell’imposta allo stato. In questo modo, tutti i 700 euro del primo anno verranno reinvestiti ad un tasso ipotetico del 7% producendo a loro volta un montante che a sua volta genererà altri interessi. Voi direte, già ma a scadenza dovrò pagare le tasse ugualmente. Vero, ma il montante che l’investitore A si troverà al netto delle tasse, sarà comunque di gran lunga superiore a quello dell’investitore B, che non avrà sfruttato l’effetto della capitalizzazione composta sia sulla cedola che sulla ritenuta ritenuta fiscale differita.

Montante generato da un investimento da 10 k per 15 anni al 7% costante

la tabella mostra l’effetto “magia” della capitalizzazione composta su un investimento di 10 k per 15 anni. la differenza è di 5.316 euro a favore dell’investitore che ha reinvestito cedola e ritenuta fiscale annualmente. Le conclusioni che possiamo trarre nella pratica sono, che se non abbiamo un bisogno reale, non dovremmo optare per il flusso di cedole. Queste , infatti produrranno un montante che avrà un grafico esponenziale al passare del tempo aiutato anche dal reinvestimento della tassazione trasferendo un beneficio immediato per lo stato in un grandissimo vantaggio finanziario per noi.

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Un evento estremamente raro

La teoria del cigno nero è una metafora che descrive un evento non previsto, che ha effetti rilevanti e che, a posteriori, viene inappropriatamente razionalizzato e giudicato prevedibile con il senno di poi. Beh, quello della pandemia è certamente un evento che sui mercati finanziari ha determinato uno dei maggiori crolli degli ultimi 30 anni in termini di ampiezza del ribasso, assets investiti e velocità del movimento susseguito da uno dei maggiori recuperi del mercato degli ultimi 30 anni sia in termini di ampiezza del rialzo che di velocità. Oggi sono molti coloro i quali tengono lezioni per spiegarci perchè a marzo 2020 il ribasso si è consumato così velocemente e perchè i mercati sono ripartiti di li a breve inanellando un record dietro l’altro. Già, con lo specchietto retrovisore, siamo tutti bravissimi nel fornire giustificazioni ai movimenti di mercato. Si legge ancora che il rialzo è compatibile e dunque sostenibile con le politiche monetarie e fiscali varate da banche centrali e governi. Come sempre si cercano informazioni che giustificano le nostre opinioni e speranze. E chi fa il mestiere del giornalista lo sa bene. Ma io scommetto che pochi di voi si soffermano sull’analizzare la storia dei mercati, non con la presunzione di sapere dove andranno, ma per acquisire conoscenza. Come diceva Primo levi “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre. ”Guardare la storia non ci serve per sapere cosa ci riserva il futuro ma ci da un aiuto per comprendere”

Quindi quante volte nella storia dei mercati si è verificato un rialzo come quello partito un anno fa ?

Oppure quante volte il mercato ha perso più del 25% ?

Queste domande trovano delle risposte ben precise in questo grafico delle performance a 12 mesi che un investitore avrebbe ottenuto investendo in azioni USA dal 1881 al 2021.

Il 20 marzo 2020 il principale indice azionario USA S&P 500 toccava i 3200 punti in ribasso del 33% dai massimi di un mese prima. Sembrava l’inizio della fine o meglio sembrava profilarsi uno scenario che molti noi avevano già vissuto ben 2 volte negli ultimi 20 anni. L’inizio di un mercato orso che sarebbe durato qualche tempo con utili in contrazione e trend primario ribassista. Sappiamo tutti poi come è andata e da quel momento il mercato ha sviluppato un movimento rialzista che lo ha portato un anno dopo a 4000 punti. E’ frequente un rialzo di questo tipo ?

A queste domande con la conoscenza possiamo affermare che no non è frequente e che dal 1881 si sono verificati solo 5 casi. Ed il ribasso precedente ? Non troppo frequente infatti abbiamo assistito a 49 casi dal 1881 ad oggi. Ma come ci può essere di aiuto conoscere questi dati ?

Ci è utile nel momento in cui dobbiamo investire poichè sappiamo che investendo ad occhi bendati avremo a 12 mesi una ragionevole probabilità che il nostro rendimento sia compreso tra -25% e +25% e che potremmo però avere anche alcuni casi (con un 20% di probabilità) tra 25% e 50%.

Ma la cosa più interessante da notare è che il rendimento sarà con una probabilità altissima compreso tra -25% e + 50% . E’ li che stanno la maggioranza dei casi. Ciò ci rileva che nel 94% dei casi la performance dell’indice sarà compresa in questo range e anche che la probabilità di avere rendimenti positivi importanti è maggiore di quella di avere rendimenti negativi altrettanto importanti. In altre parole c’è un rischio ma il rendimento potenziale atteso è maggiore della perdita massima attesa. Ciò che io dico sempre è che i dati storici evidenziano che il mercato sale per i due terzi del tempo e scende per un terzo del tempo e ora sappiamo anche cosa aspettarci con una ragionevole probabilità.

Tornando a noi sapere questo non solo ci è utile nel momento dell’investimento ma anche nel durante poichè la frequenza dei rendimenti indicati in tabella potrebbe farci riflettere sulla percentuale di equity da tenere nel portafoglio nel durante. Credo infatti che, pur essendo consapevoli che per orizzonti di 20 anni questi forse sono discorsi in più, comprendere ciò che è accaduto può aiutarci magari a riposizionarsi sull’equity nei vari periodi e cicli di mercato.

Tradotto se il rialzo dell’ultimo anno è un evento raro forse sarebbe meglio ribilanciare il portafoglio tenendo in considerazione questo elemento ed evitare di credere che esiste il campo dei miracoli aumentando l’equity nei portafogli.

Siamo stati miracolati ed ora dobbiamo averne consapevolezza.

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A chi conviene il trading ?

In primo luogo iniziamo con un’altra domanda: chi è un investitore ?

Partiamo col dire cosa non è: non è uno speculatore. Potremmo meglio definirlo come colui che acquista un attività finanziaria, dopo un’analisi approfondita, che gli consenta con una ragionevole probabilità e un certo margine di sicurezza di raggiungere un rendimento adeguato. E’ quasi grottesco osservare che, a seconda dei momenti storici che viviamo, questa definizione non trovi la stessa interpretazione. Infatti dopo grandi crolli e bear markets qualsiasi acquisto di attività di investimento viene considerata speculativa mentre durante grandi rialzi qualsiasi attività speculativa viene giustificata da ciascuno di noi come un investimento. In momenti in cui le azioni costano pochissimo vengono considerate speculative e in periodi in cui i prezzi sono altissimi sono considerate un ottimo investimento e tutti i risparmiatori diventano desiderosi di diventare investitori di lungo termine…

Attenzione, perchè non voglio passare per il moralizzatore, dal momento che la speculazione non è certo immorale ed illegale, anzi una speculazione intelligente svolge un ruolo importante ed aiuta il mercato e lo alimenta consentendo a chi vuole prendere rischi di farlo. Tuttavia mi scaglio contro la speculazione non intelligente cioè quella in cui le masse pensano di stare investendo mentre stanno speculando, quella alimentata da incompetenza e improvvisazione, quella che porta a rischiare più soldi di quelli che ci si può permettere di perdere.

Tuttavia, ciò detto, se si vuole speculare, il consiglio è di fare due conti separati uno dedicato agli investimenti e l’altro dedicato alla speculazione, non aggiungendo soldi, anche se si fanno profitti, nella parte speculativa e non mescolando mai i due conti.

Parliamo quindi di un conto dedicato al trading. Ma l’attività di trading, che come in ogni mercato bullish che si rispetti è diffusa in questo momento anche nel nostro paese, è dunque un’attività d’investimento o pura speculazione ?

Siccome fare trading significa comprare titoli scommettendo che il prezzo salirà perchè ci sarà qualcun altro disposto a pagare un prezzo più alto per averlo, generando nell’operazione un profitto o una perdita, il trading può essere assimilato al gioco d’azzardo che si fa al casinò dove c’è solo una certezza ovvero il guadagno del banco. Nel mercato azionario uscirà certamente un vincente e non sarà certo lo speculatore ma bensì il suo broker. Investire, invece, significa giocare in un casino particolare, in cui alla fine non si può perdere, a patto di giocare sempre secondo le regole che mantengono le probabilità stabilmente a nostro favore. Confondere la speculazione con l’investimento è dunque un grave errore. Alla fine degli anni 90 la speculazione era talmente alta che l’america, e non solo, era diventata la patria degli speculatori e gli attori del mercato saltavano da un titolo ad un altro come delle cavallette. Tutti coloro che in quel periodo riuscivano a battere il mercato (fare meglio dell’indice) si vantavano di questo e consapevoli di aver ragione e certi di aver trovato una tecnica che batteva il mercato in qualsiasi periodo. Si iniziò quindi ad ignorare il principio base della finanza ovvero la diversificazione poichè i day traders pensavano di poter battere il mercato nel lungo periodo considerando inutili i lavori di asset allocation  degli analisti e money manager.

Cerco di descrivere con un esempio la situazione che si può creare quando la speculazione prende il posto dell’investimento. Immaginiamo di dover raggiungere una destinazione a 200 km di distanza. Se percorro la distanza a 100 km orari arrivo dopo 2 ore ma se la percorro a 200 km orari arrivo in un ‘ora. Se ci provo e sopravvivo e la raggiungo quindi in un’ora significa che ho ragione ? Potrei vantarmi di aver fatto questa scelta e magari anche tutti voi potreste seguire il mio esempio…

La morale è che posso utilizzare tutti i trucchi che voglio per battere il mkt ma può funzionare per un breve periodo, nel lungo periodo questi trucchi uccidono.

Un investitore calcola il valore di un titolo, di un mercato, sulla base del valore delle attività patrimoniali e finanziarie di quell’azienda o mercato. Sappiamo che l’istinto dell’azzardo è nella natura umana, ma dobbiamo tenerlo a freno ed imbrigliarlo in modo da evitare di fare confusione tra investimento e speculazione.

Ed il ruolo del consulente finanziario deve essere anche questo. 

Dal 2018 l’ESMA (autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) ha imposto che tutti i broker autorizzati ad operare in Europa siano obbligati a mostrare la percentuale delle perdite dei loro investitori. La pubblicazione di questi dati ha portato a conoscenza la reale gravità della situazione.

-I traders perdenti sono in media il 78,8%

-1% la percentuale dei traders che è in grado di guadagnare un profitto al netto delle commissioni

Adoro la statistica ed i calcoli di probabilità perchè mostrano le alternative possibili nella nella finanza e nella nostra vita fornendoci elementi razionali in base a cui scegliere un’opzione un’altra. Ci toglie quindi l’ansia derivante dalla domanda che ci facciamo quando operiamo scelte:

Ho fatto la scelta giusta ?

 

 

 

 

 

 

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La fiera delle occasioni perdute

Eh già, potremmo definire così l’analisi dei rendimenti dei mercati azionari nell’ultimo lustro e nei decenni passati. Perchè a scorrere bene i risultati dei principali indici mondiali ci si potrebbe rallegrare ma andando poi ad analizzare i rendimenti ottenuti dalla totalità dei risparmiatori, pochi potrebbero dire” Si, io ho beneficiato di questo 15% o più annualizzato dal 1990 in poi”.

La stragrande maggioranza ha ottenuto rendimenti molto, molto più bassi. Bene, è andata così…inutile piagere sul latte versato… ma che cosa non ha funzionato ?

Analizzare cosa non ha permesso ai risparmiatori italiani di realizzare obiettivi così importanti è importante per non fare gli stessi errori e poter così migliorare i nostri rendimenti attesi.

Per fare l’analisi partiamo dalle parole di un bravo gestore “i mercati creano i rendimenti, non i gestori”.

Il punto di partenza è questo. I mercati fanno il loro mestiere, salgono e scendono nel breve senza una motivazione ben precisa e salgono nel lungo termine perchè nel tempo il valore delle merci e servizi prodotto nel mondo tende ad aumentare progressivamente. E siccome le azioni rappresentano il valore delle aziende che vendono servizi e prodotti, maggiore sarà la crescita delle aziende in termini di utili negli anni e maggiore sarà il suo valore. Decenni di statistiche parlano da se. Per orizzonti temporali compresi tra 15 e20 anni il valore delle maggiori aziende nel mondo tende ad aumentare progressivamente. Quindi i mercati creeranno nel lungo termine i rendimenti attesi dal risparmiatore senza alcuna necessità di fare chissà quali previsioni.

Così, uno dei presupposti per realizzare rendimenti così alti, è potersi permettere di lasciare il denaro investito per più di 10 anni.

Ho detto potersi permettere, non a caso, perchè molte famiglie in Italia non possono permettersi, per vari motivi, di investire nel lungo termine. Ma molte di queste famiglie potrebbero permettersi di avere orizzonti d’investimento superiori a 10/15anni eppure entrano ed escono dalle azioni e fondi come se fossero su un autobus, ovviamente sbagliano il timing. Studi condotti da Anima Sgr su un loro fondo azionario internazionale su orizzonti decennali dimostrano che l’80% degli investitori del fondo ha ottenuto un rendimento nettamente inferiore al fondo e quasi la metà addirittura ha subito una perdita. Ciò si è verificato perchè la maggioranza di questi risparmiatori è uscito troppo presto dall’investimento.

Nel mio ufficio ho appeso un cartello con un monito che potrebbe riassumere quello che sto dicendo “i mercati sono per persone pazienti”

Peccato che piuttosto che avere pazienza si preferisce pensare di poter fare delle previsioni o ascoltare chi pensa di sapere cosa accadrà domani come se non avessimo esempi di eminenti professori, analisti e guru che sono stati clamorosamente smentiti dai fatti. C’è chi ha fatto una grande fortuna come il prof. Ravi Batra, economista autore di vari best seller che dal 1990 prevede una grande depressione, certamente un pò in anticipo sui tempi. Specularmente abbiamo gli ottimisti ad oltranza per i quali i mercati finanziari possono solo salire…

Nella grande crisi del 2008 (fallimento lehman Brothers) il governatore Mario Draghi rilasciò un’intervista in TV dichiarando di essere ammirato dalla sicurezza con cui alcuni professori pensavano che il peggio era passato ma anche dalla sicurezza con sui altri pensavano che il peggio doveva ancora arrivare. Questo perchè lui stesso non era in grado di fare previsioni.

Riassumendo, l’asset allocation è determinante per la riuscita dell’investimento nel tempo. E una buona allocazione delle risorse deve destinare al mercato azionario tutte le risorse che possono avere un orizzonte di lungo termine. Sarà l’asset allocation il driver della performance del portafoglio nel lungo termine e non gestioni di portafoglio basate su modelli discrezionali o peggio ancora improvvisati.

Il 2020 ci ha dato una grande lezione proprio sul tema dell’imprevedibilità. Inizialmente con una caduta dei listini mai vista prima così veloce poi con una ripresa di proporzioni inimmaginabili all’inizio della crisi pandemica.

Un buon modello di trend following può darci una mano sul decidere se stare sovrappeso o sottopeso sull’asset equity ma non può sostituire l’orizzonte temporale come definitore della percentuale del nostro portafoglio destinato all’azionario.

Occorrerebbe incentivare con premi i detentori di investimenti nel lungo periodo ma non mi risulta che qualche società d’investimento abbia indirizzato qualche lettera a quei pochi risparmiatori che detengono fondi/etf azionari per più di 15 anni.

Eppure anche questo servirebbe per migliorare l’educazione finanziaria di cui questo paese ha tanto bisogno.

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Attenti a quei due

Proprio così…spesso cerchiamo qualcosa di nuovo e diverso, perché riteniamo che il vecchio sia superato, sia obsoleto e da rottamare. A volte invece ci diciamo anche,  “vuoi che sia così semplice, figurati” … “vuoi che sia così alla portata” e soprattutto “come è possibile che sia sempre stato lì e io non l’ho mai considerato… no, non può essere, dove è la fregatura ?”

Già, accade spesso così, ma io sono qui, per ricordarvelo e per dirvi che siete ancora in tempo per approfittarne. Quindi per una volta mandiamo al diavolo asset allocation dinamica, titoli, certificati, obbligazioni, mutiramo, gestioni separate e qualsiasi altra diavoleria e ritorniamo al pane, prosciutto e bicchiere di vino. Oggi vi voglio parlare di due fondi comuni d’investimento di cui almeno di uno dei due vi avevo già parlato in passato. (Per chi volesse leggere il vecchio articolo “affrontare l’imprevedibilità come una scimmia”). Si tratta di un bilanciato moderato internazionale e di un azionario internazionale che per storia e persistenza dei risultati si sono contraddistinti nel panorama dell’industria del risparmio gestito. Ma come sappiamo tanti fondi si sono forgiati delle cinque stelle Morningstar per alcuni periodi e poi improvvisamente sono scesi agli inferi …per cui vi voglio parlare di due gestori che non hanno la presunzione di fare previsioni e stupire ma solo di fare bene quello che è possibile fare. Così facendo non ci troveremo risultati sganciati dalla realtà dei mercati o incomprensibili ma risultati in linea con il buon senso che è stato adottato nel fare i portafogli. Ma partiamo dal Blackrock Global Allocation. Si tratta di un bilanciato fondato e  coogestito  da Dennis  Stattman dal 1989 fino al 2017  anno del suo ritiro con la  logica del multi-asset e non del gestore star  ovvero con la volontà  principale di avere una grandissima diversificazione in termini di asset e titoli e mantenendo una esposizione azionaria vicini al 60%… io lo chiamo il bilanciatone, l’evergreen che chiunque dovrebbe detenere in portafoglio per la parte core. La prima domanda che sorge spontanea è quanto lo dovrò tenere nel portafoglio per avere un rendimento soddisfacente ( e qui si aprirebbe un altro capitolo). La risposta è che il tempo lavorerà per noi e a nostro favore e dunque il più possibile …

Guardiamo nel dettaglio l’andamento del fondo dal 2002 ad oggi e confrontiamolo con un indice azionario world all country come MSCI AC WORLD anche se non sarebbe corretto.

Senza la necessità di fare analisi approfondite, anche a occhio nudo possiamo notare due elementi distintivi, il rendimento del fondo bilanciato maggiore dell’azionario internazionale (155% contro 131%)  e la minore volatilità (oscillazione dei prezzi dalla loro media). Esaminandolo più con la lente d’ingrandimento e l’occhio critico possiamo anche vedere che in alcuni periodi ad esempio 2015 e 2018 il fondo non ha generato ritorni positivi e che quindi nonostante sia un bilanciato è richiesto il solito ingrediente che l’investitore tollera poco: la pazienza. Solo mettendo sul campo quest’ultima si sarebbe potuto godere del risultato finale.

L’altro fondo di cui vorrei parlarvi è il Morgan Stanley Global Brands ovvero un azionario internazionale di lunga storia e risultati.  Il team d’investimento ritiene che le società con un brand importante possano generare rendimenti interessanti nel lungo periodo. Di norma, queste società godono infatti di posizioni di mercato dominanti, beneficiano di attività immateriali di alto valore e difficilmente replicabili e sono in grado di generare un’elevata redditività del capitale operativo senza ricorso alla leva, nonché solidi flussi di cassa. Tra le altre caratteristiche vi sono flussi reddituali ricorrenti, potere contrattuale, bassa intensità del capitale e crescita organica. Già…ma sottolineano nel lungo termine. Anche questo lo confrontiamo con l’indice MSCI  AC World al fine di capire se un approccio di questo tipo nel tempo è stato premiante rispetto alla replica dell’indice.

In questo caso l’investitore che si fosse affidato ad un portafoglio completamente azionario dal 2002 e non si fosse curato delle crisi che si sono susseguite negli anni essendo fiducioso che il tempo avrebbe lavorato a suo favore sarebbe stato premiato con un 352% contro un 131% dell’indice World AC.

Ora il tema è che non esistono certezze oggi più che mai e occorre convivere con la volatilità e sapere che sarà proprio grazie a questa che si raggiungeranno ottimi risultati.

Infatti i due fondi in questione sono esempi concreti di come sia stato possibile avere rendimenti in un’epoca a tassi bassi o zero e molti di voi hanno toccato con mano avendoli nei loro portafogli. E se solo aggiungessimo una modalità di acquisto in forma di piano di accumulazione troveremmo la quadratura del cerchio. Troppo semplice ?

 

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Time, not timing

Sembra passato un secolo da quando nel 1997 la società di gestione di fondi Putnam Investment lanciava questo slogan eppure oggi è più attuale che mai.  Sono certo che la maggioranza degli investitori e risparmiatori negli ultimi anni siano molto confusi sul da farsi per costruire e ribilanciare un portafoglio. La difficoltà consiste nel non accettare l’imprevedibilità dei mercati e pretendere di voler capire dove è meglio mettere i propri soldi per poi spostarli da un’altra parte non appena il trend è cambiato. A prima vista un investitore inesperto potrebbe pensare che è facile ma le cose nella pratica stanno in maniera molto diversa. Cerchiamo allora di capire il perché ed il significato di quello slogan.

“Time, non timing” significa tradotto in italiano “tempo, non giusto momento”. Il messaggio che la società di fondi voleva lanciare ai suoi clienti era quindi che per la buona riuscita di un investimento azionario (perchè era questo il mkt a cui si riferivano) l’ingrediente principale era il tempo. Il tempo avrebbe lavorato a tuo favore e ti avrebbe consegnato risultati importanti. Di contro, fare timing, ovvero cercare di azzeccare il momento migliore per entrare ed uscire dal mkt azionario, avrebbe distrutto valore e ridotto il risultato finale. Oggi dopo 23 anni potrei aggiungere, per esperienza personale, che questa attività non solo avrebbe ridotto i rendimenti ma in molti casi avrebbe anche causato perdite non recuperabili. Il perché è presto detto. Un’ analisi di Advisor Perspective mostra che oltre il 70% delle perdite accumulate dallo s&p 500 USA negli ultimi 35 anni dipende da dieci periodi di crolli molto brevi (limitati ad un mese) recuperati nell’85% dei casi in tre mesi e nel 93% dei casi entro un anno. Se questa è la realtà non c’è da sorprendersi dei risultati della ricerca della società indipendente Dalbar sul mercato USA dal titolo Quantitative analysis of investor behavior.

Secondo questa analisi, a fronte di un rendimento annualizzato del 9,96% dello S&P500 (che ricordiamo rappresentare le prime 500 aziende USA) l’investitore ha incassato poco più del 5%. In estrema sintesi questo è successo perché i rendimenti sui mercati si fanno in pochi giorni e per la maggioranza delle persone risulta impossibile intercettarli. Per cui ciò che la società Putnam di Boston voleva comunicare 23 anni fa è che entrare ed uscire dai mercati aumenta solo la probabilità di perdersi i giorni migliori. E ciò è ancora più vero in un contesto come quello attuale in cui la volatilità è molto alta e quindi la tempistica sbagliata può fare un disastro. Purtroppo quello che accadde al mkt azionario nel 2001 (due torri) e 2008 (lehman brothers) mandarono in soffitta lo slogan, e si cominciò a pensare che il timing era essenziale in un investimento…

Oggi potremmo dire con certezza che dopo 23 anni il nostro investitore virtuale e razionale nonché rispettoso della regola Time, not timing” sarebbe stato premiato …ma voi ne conoscete qualcuno ?

E allora molti di voi si chiederanno a questo punto cosa dovrebbe fare un investitore ?

Quale consiglio ci dai ?

Quello che ho sempre predicato, ovvero stabilire quale è la parte di denaro che può stare investita a lungo termine e capire se si è disposti ad accettare la volatilità inevitabile nel durante. A questo punto utilizzare tecniche di ribilanciamento basate sui modelli quantitativi di medie mobili che individuino i trend e che ti permettano di stare in sottopeso in alcuni periodi e sovrappeso in altri in base a modelli oggettivi e non discrezionali. Non praticare il tutto dentro ed il tutto fuori poiché i falsi segnali dei modelli posso essere presenti in un arco temporale lungo. Ribilanciare in base ad un modello che segue i trend ci serve per ridurre la volatilità nel tempo del nostro portafoglio azionario evitando di incorrere in perdite pesanti che poi richiederebbero troppo tempo per essere recuperate e metterebbero a dura prova l’investitore. L’esempio che posso fare è quello del 2008 in cui l’indice S&P500 USA ha impiegato 6 anni per riagguantare i massimi precedenti. E’ vero i casi di questo tipo sono una rarità sui mercati finanziari ma si sono verificati e dunque vanno contemplati.

Per cui riassumendo il “Time, non timing” è teoricamente un messaggio corretto e veritiero se si ha un orizzonte di 20 anni e non si è emotivi ed ansiosi. Tuttavia l’esperienza ci dice che l’investitore è tutt’altro che razionale e dunque tecniche di ribilanciamento basate sui trend possono essere di aiuto per affrontare eventuali periodi di caduta dei mkt un pò più lunghi e profondi.

Last, but not the least, spalmare il proprio investimento  nel tempo riduce il rischio di incappare in un punto di ingresso sfavorevole per cui il classico piano di accumulazione è sempre il benvenuto.

 

 

 

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La gestione attiva che funziona

Non è certo quella discrezionale ovvero quella basata sull’opinione del momento. E la gestione attiva  non è nemmeno quella basata sull’emotività del momento continuamente alimentata dai media e dai social. Mi spiego meglio,  la gestione attiva, quella che porta risultati nel lungo termine è basata su una metodologia, che testata su serie storiche più lunghe possibili,  ha dimostrato di poter portare valore aggiunto rispetto ad una soluzione passiva. Occorrerebbe stare molto lontani da coloro che prendono decisioni d’investimento basate sul sentiment di breve termine rincorrendo il mkt. Diffidate da chi vi dice “fate così e guadagnerete milioni a palate”  Fidatevi invece di chi vi dice che il mercato è imprevedibile ma ciononostante può essere affrontato con una strategia. E la strategia oltre ad essere ragionevole e prudente deve adattarsi al carattere, alle aspettative e alle possibilità del singolo investitore. Purtroppo nel panorama dei fondi comuni trovare strategie di gestione che riflettano questi pensieri è più che raro quanto trovare una pietra preziosa.Ho parlato di questo anche nel 2011 in un articolo dal titolo “come battere l’indice di mercato…” e in quell’occasione parlai di come fosse difficile battere un indice composto dai titoli che rappresentano il mercato su cui andiamo ad operare. Nella maggioranza dei casi l’impresa non riesce ed il gestore perde il confronto. Ma qualche gemma esiste. E in questo articolo vorrei parlarvi di una di queste.

Il fondo si chiama MFS Meridian  Prudent wealth, e appartiene alla società MFS fondata nel 1924 a Boston, la prima società negli USA a lanciare il primo fondo d’investimento che aprì la porta degli investimenti a milioni di persone. Il fondo si chiamava MIT (Massachusetts Investors Trust). Molti gestori ovviamente da allora si susseguirono e oggi parlerò di uno di questi, di un gestore che conobbi più di due anni fa Barnaby Wiener. Mi affascinò la sua metodologia poichè basata su una idea concreta e su concetti semplici ma efficaci. Da quel momento iniziai a seguirlo e cominciai a comprarne un pò per qualche cliente per quella parte del portafoglio che io volevo dare in delega. Mi sembrava infatti che potesse rappresentare il giusto compromesso tra ricerca del rendimento effettuata con l’unica asset in grado di generarla ovvero le azioni e una riduzione del rischio downside (perdita) nei momenti di ribasso.

Il portafoglio è composto in ogni momento da tre componenti

-ristretto numero di aziende di elevata qualità

-cash

-opzioni sui principali indici mondiali

Le azioni vengono accuratamente selezionate dal gestore che si concentra su poche aziende ( una sessantina)  ritenute in grado di generare valore nel tempo. Il cash viene sempre mantenuto attorno al 50% per avere la possibilità, quando si verificano le occasioni, di incrementare le posizioni già assunte o coglierne di nuove. Le opzioni put sono acquistate e mantenute nel portafoglio a fini di “copertura assicurativa”: quando si verificano dei crolli del valore degli indici, alcune di queste put entreranno in the money andando proprio a sortire l’effetto desiderato, e avendo in ultima istanza un impatto positivo sulla performance. La combinazione di questi elementi ha l’obiettivo di produrre performance senza dimenticare di preservare il capitale nel lungo periodo.

Sembra facile no, il sogno di tutti ! Lo so cosa stanno pensando in questo momento molti di voi …l’ennesimo Carmignac Patrimoine, Highbridge, etc.. Non sono d’accordo per il semplice fatto che quello che il gestore fa in questo fondo è semplice e comprensibile ma soprattutto è di buon senso. Non c’è dietro chissà quale algoritmo magico…

Il confronto di questo fondo va fatto con un indice azionario internazionale quale il MSCI World all country poichè le aziende che il gestore compra sono internazionali. E dunque facciamolo relativamente agli ultimi  3 e 5 anni.

Il confronto tra un portafoglio world all country a 3 anni è impietoso. Il fondo ha prodotto maggiore rendimento con minore rischio inteso come volatilità. Stessa cosa sul periodo di 5 anni come potete vedere qui sotto.

Ribadisco il fatto che occorre investire quella parte di risparmio che non servirà a breve in azioni poichè è lo strumento più idoneo per raggiungere gli obiettivi di rendimento a cui aspiriamo tutti dal nostro capitale per aiutare un figlio a farsi casa o semplicemente per una vecchiaia serena. Ma questo si può fare in diversi modi.Non vi sto dicendo che la strategia di questo fondo è la migliore o che è l’unica ricetta vincente, tant’è che molti investitori hanno avuto successo utilizzando strategie completamente diverse. Tuttavia ciò che li accomuna è che avevano una strategia chiara e ben definita basata su solide fondamenta. Ed è questo il punto, ogni strategia deve essere ragionevole. Come sa chi mi conosce, occorre conoscere e poi ognuno di noi deciderà come approcciare quel mondo meraviglioso che è il mercato azionario.

 

 

 

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Che cosa hanno in comune Warren Buffet e Ray Dalio ?

Apparentemente nulla. Inafatti il primo è il più grande value investor di tutti i tempi mentre il secondo è senza ombra di dubbio il re degli hedge fund ossia dei fondi d’investimento speculativi. Una breve presentazione di Warren Buffet è doverosa. Viene definito l’oracolo di Omaha ed è uno degli uomini più ricchi al mondo. Nato ad Omaha nel 1930, ed oggi ancora in attività, fece il suo primo investimento all’età di 11 anni, quando comprò tre azioni di Cities Service Preferred a 38 dollari l’una. Proprio in questa occasione mostrò le doti del vero finanziere, acume e saldezza di nervi, resistendo alla tentazione di venderle quando scesero a quota 27 e cedendole solo quando raggiunsero i 40 dollari. Allo stesso tempo imparò la lezione che gli venne impartita dall’impennarsi del titolo (in seguito alla vendita delle sue azioni) sino ai 200 dollari, tanto da citare spesso l’esempio nella sua formazione di uomo d’affari. La strategia che adottò fu (e continua ad esserlo tuttora) all’apparenza molto emplice: acquistare società sottovalutate, ma allo stesso tempo solide, competitive e promettenti al fine di guadagnare tanti soldi quando il mercato deciderà di riconoscere il vero valore di quelle società. A dispetto di quello che si può pensare dunque non è uno squalo, l’esempio tipico del finanziare d’assalto, ma una persona con una grande capacità di analisi e conoscitore di bilanci. Negli anni ha fondato la Berkshire Hathaway che è la holding che partecipa le società in cui Warren Buffet ha creduto e crede ancora. Ma la vera dote che occorre riconoscergli è anche quella di avere nervi saldi anche quando tutte le forze del male gli remano contro poichè sposta l’attenzione sul lungo termine, lunghissimo termine. Se diamo uno sguardo all’andamento della sua holding quotata in borsa capiamo bene questo concetto

berkshirewordpress

Di crisi, il fondo, ne ha vissute molte ed è sufficiente tornare al 2008 per osservare che il fondo ha subito passivamente un ribasso del 50% del proprio valore e solo dopo 5 anni riacquistare il massimo precedente. Oppure come, venendo a periodi più recenti, come in questi  che ha perso il 23% dai massimi tornando ai valori di luglio 2017. ma osservando il grafico non è possibile non notare il valore creato nel tempo.

Ma ora veniamo a Ray Dalio, il fondatore del più grande hedge fund al mondo con i suoi bridgewater associates dal 1975. Nato nel 1949 a New York, è distintosi subito nel mondo della finanza, nonostante i grandi successi ha vissuto una vita densa di insuccessi, di cadute e ripartenze, come nel 1982, quando assunse posizioni ingenti al ribasso poco prima di uno dei più grandi rialzi del mercato azionario statunitense, subendo perdite così ingenti da portarlo quasi al fallimento. Negli anni successivi consegnò performance incredibili portando i suoi fondi Bridgewater ad essere uno dei maggiori al mondo. In estrema sintesi i risultati arrivarono dalla capacità di andare lunghi e corti sul mercato e su singole attività finanziarie nonchè utilizzando la leva finanziaria. Potremmo parlare in maniera semplice di questi fondi chiamandoli speculativi. Il fondatore in una recente intervista rilasciata al Financial Time ha ammesso che i suoi Bridgewater Associates sono stati presi in castagna durante le turbolenze del mercato guidate da questo mese dal coronavirus, poiché il suo fondo principale è sceso di circa il 20% nell’ultimo periodo a seguito di brusche inversioni di azioni, obbligazioni, materie prime e credito. “Non sapevamo come interpretare il virus e abbiamo scelto di non coprirci perché non pensavamo di avere un vantaggio nel farlo. Quindi, siamo rimasti nelle nostre posizioni e in retrospettiva avremmo dovuto tagliare tutti i rischi”

Ma torniamo al punto principale, che cosa hanno in comune queste due persone ?

Partiamo da cosa non li accomuna. Warren Buffet è un investitore, cioè compra aziende di qualità, contribuendo dunque allo sviluppo di quest’ultime e rimanendo socio per anni ed anni. Ray Dalio è uno speculatore ovvero compra e vende attività con lo scopo di trarne profitto dalla variazione dei prezzi.

Tuttavia li accomuna un elemento. La periodica presenza costante ed ineluttabile di insuccessi e dunque di periodi di vacche magre e quindi la consapevolezza che questi periodi siano inevitabili per godere del premio al rischio.

E proprio anche grazie a questa consapevolezza che in questi periodi non hanno perso fiducia in loro stessi e nella loro capacità di generare profitto nel lungo termine continuando a fare quello che hanno sempre fatto, anche se in modo completamente diverso l’uno dall’altro.

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