L’investimento inizia dove finisce il tasso

La ricerca del tasso come la ricerca della felicità. Potremmo riassumere così la ricerca  spasmodica di un ritorno per i propri risparmi che dia soddisfazione e gratifichi. I risparmiatori italiani, e non solo, cercano infatti una destinazione ed un impiego profittevole per la loro liquidità. Le cifre in ballo, come si può vedere qui sotto, sono notevoli

l’Italiano in particolare, essendo orfano dei governativi, dei pronti termini, dei conti di deposito e più in generale di investimenti a breve termine con un tasso di interesse predefinito, è spaesato. Gli viene detto da più parti che dovrebbe trasformarsi in investitore, ma ciò comporterebbe assumere comportamenti diametralmente opposti a quelle che sono le sue abitudini. Significherebbe assumere un orientamento al lungo termine, accettare volatilità, accettare il rischio come parte imprescindibile di un investimento poiché generatore di performance. Tutto questo per ottenere quel premio per il rischio di cui beneficia l’investitore nel lungo termine. Ma anche pensando che possa accettare tutto  questo, si parlerà sempre di rendimento atteso e non di rendimento certo.

Potremmo dire, riassumendo, che l’investitore dovrà accettare la volatilità per avere un rendimento atteso che è una una probabilità di rendimento futuro, ottenuto proiettando i dati del passato. Quindi non avrà in cambio la certezza assoluta del risultato. Ma solo che esiste un premio per il rischio che rappresenta l’extra rendimento rispetto al free risk.

Tuttavia in questo momento, sembra che questi ragionamenti siano troppo complessi ed indigesti, perché la propensione ad essere liquidi è una prerogativa prioritaria sia per gli italiani che per gli europei. Probabilmente ciò è dovuto ad un mix tra sfiducia sul futuro e caratteristiche proprie del vecchio continente meno avvezzo ad investire nel capitale di rischio.

I risparmiatori italiani, oltre che cercare investimenti  a breve termine, sembra che cerchino anche un tasso che, dalle ultime indagini, risulta essere intorno al 3%. Il tasso nominale dunque è il principale obiettivo del risparmiatore, il quale rimpiange ancora i tempi un cui poteva investire a 12 mesi ottenendo tassi a doppia cifra. Il passaggio che oggi si rende non solo necessario, ma obbligatorio, per accedere a rendimenti attesi in linea con quello che si aspetta il risparmiatore, è comprendere che non è possibile aspirare a quei rendimenti attesi depositando risparmi su strumenti di mercato monetario o addirittura  in conti deposito. In finanza si dice che non ci sono pasti gratis, ebbene mai come oggi, questo detto è stato più vero. Occorre però  pazienza  per ottenere rendimenti in un mondo in cui il mercato monetario ed obbligazionario ha tassi negativi perché i mercati sono per persone pazienti

 

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Come essere felici

Che strano popolo gli Italiani, siamo da anni in grande crisi e ciò è rivelato dai dati Istat e più semplicemente parlando con la gente per strada, eppure, continuiamo a navigare in un mare di liquidità. Gli ultimi dati di Bankitalia evidenziano 1400 Mld di euro tra conti correnti, depositi e biglietti. E dal 2008 (fallimento Lehman Brothers) l’anno della grande crisi, questo mare di liquidità che quasi basterebbe ad estinguere in un sol colpo il grande debito Italiano, è aumentata di 300 Mld. Neanche la crisi ha arrestato il trend, nonostante negli ultimi anni sui mercati vi sia stato un clima internazionale più disteso.

Ma allora a cosa è dovuto questo atteggiamento degli italiani verso il risparmio che gli impedisce di trasformarsi in investitori. I fattori sono molteplici. In primo luogo io metterei l’impossibilità di ottenere rendimenti  a rischio zero e la scarsa conoscenza degli strumenti finanziari a disposizione. Un secondo fattore, legato sempre alla scarsa educazione finanziaria, è la bassa propensione dell’Italiano a pianificare, studiare, capire e spendere risorse per investire i propri risparmi.La progressiva riduzione (a causa degli eventi finanziari infausti verificatisi negli ultimi anni)  della fiducia degli Italiani verso il sistema banche, consulenti e intermediari  a peggiorato il quadro. Inoltre la scarsa copertura assicurativa degli Italiani, fatta eccezione per l’auto, impone un maggior livello di liquidità per far fronte ad imprevisti.

Ma lasciatemi dire che non prendere decisioni ed assumersi le conseguenti  responsabilità, rende gli Italiani un popolo più felice di altri. Sicuramente spostare parte di questa liquidità verso destinazioni diverse richiederebbe un impegno ed una gestione dell’emotività che desterebbero preoccupazioni ed ansie. Invece essere liquidi in ogni momento, fa si che, quando si verificano eventi amplificati dai mass media che andranno ad impattare sui mercati, l’Italiano si senta particolarmente felice.

Qualche giorno fa il Sole24ore ha pubblicato su Plus24, inserto settimanale dedicato al risparmio, i rendimenti del mkt azionario Europeo ed americano dal 1980 ad oggi. Qui sotto potrete trovare i rendimenti nominali annui del mercato azionario europeo misurato dall’indice MSCI Europe degli ultimi 40 anni

Pubblico anche i rendimenti annuali del mercato azionario USA degli ultimi 40 anni misurati dallo S&P500

Salta subito all’occhio la prevalenza del colore verde sul rosso e dunque la conferma che il mercato azionario sale per i due terzi del tempo e scende per un terzo e che per orizzonti molto lunghi rimane e rimarrà l”asset più profittevole.

Questi rendimenti dimostrano l’assoluta miopia dell’investitore italiano, che si focalizza sul breve termine, cercando ancora il tasso in un mondo in cui i tassi sono negativi o cercando di fare timing sui mercati pensando di farla franca nel tempo senza alcuna metodologia.

Ma merita un discorso a parte merita l’inflazione che entra sempre nei rendimenti

 

Nella tabella sopra sono pubblicati i dati annuali sull’inflazione. L’inflazione è un male che lavora in silenzio ed è un rischio che gli Italiani sottovalutano. A qualsiasi rendimento annuale che otteniamo va sottratta l’inflazione. Per cui se tengo liquidità improduttiva sui conti nel tempo perderò potere di acquisto e dunque denaro pur non investendo. Si stima che dal 2005 al 2018 si siano bruciati qualcosa come 10 Mld a causa dell’inflazione.

Ma assumere la consapevolezza dell’esistenza dell’inflazione e del tasso zero sui conti espone il risparmiatore ad un certo grado di infelicità. Per cui meglio non approfondire e stare liquidi, credendo di non rischiare nulla e preservare il capitale, piuttosto che cercare alternative come ad esempio i piani di accumulazione per raccogliere flussi di risparmio mensili e magari dirottarli verso asset più rischiosi ma potenzialmente più remunerativi nel tempo.

 

 

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Trading system all’opera

Periodicamente vi aggiorno sull’operato del trading system che utilizzo negli ultimi anni sui mercati azionari. Voglio ripartire dal quel 23 dicembre del 2018, data in cui pubblicai l’articolo correzione o inversione ?  , l’ultimo che analizzava i grafici dei principali mercati azionari mondiali dal punto di vista dell’analisi tecnica. In quell’occasione, molti di voi mi scrissero, chiedendomi di sbilanciarmi….ma in quel momento io riuscivo solo a fare una fotografia la quale mi diceva che dovevo stare investito nonostante il mercato da mesi stava scendendo. Bene, a questo serve un trading system, a fornirti una bussola che ti permetta di non essere influenzato dai venti che cambiano e girano  frequentemente.

Se fosse stata una correzione o una inversione l’avremmo capito solo successivamente mano mano che passavano i giorni e le sedute di borsa. Oggi sappiamo che si è trattato di una correzione all’interno di un trend primario rialzista iniziato nel 2009 in USA. L’ennesima e una delle più profonde correzioni dal 2009, ancor più del 2016 (-17,50%) ma ordinaria e regolare nella sua manifestazione quanto tipica del mercato azionario da quando esiste. L’algoritmo basato sulle medie ha dato un segnale di vendita i primi giorni dell’anno (il 17 gennaio)  quando l’indice world era a -20%. Una delle principali regole a cui ci si attiene quando si usa un sistema come questo è quello di aspettare la chiusura di fine mese e se il segnale ancora persiste operare. In quel caso ovvero a fine gennaio 2019 il mercato aveva ripreso il suo trend rialzista da diverse sedute e cosa ben più importante le medie mobili avevano girato al rialzo. Dunque ho deciso di stare in attesa senza operare ma monitorando settimanalmente grafici e medie nella speranza che fossero progressivamente rialziste. Così fu e successivamente arrivò il segnale di acquisto ad aprile 2019. Poteva andare diversamente, ovvero i prezzi avrebbero potuto continuare a scendere ma noi avremmo alleggerito o azzerato l’esposizione azionaria attenendoci ad un approccio metodico e non discrezionale. Ebbene, la situazione ad oggi,  non segnala un inversione del trend primario rialzista. Partiamo dall’indice mondiale azionario a 3 anni

E’ chiaramente in atto l’ennesima correzione del movimento rialzista partito a fine gennaio 2019. Non sappiamo dove andremo, certo, ma l’indicatore ci suggerisce oggi di stare investiti perchè il trend primario rimane.

Guardiamo anche l’indice principale americano S&P 500

Grafico molto simile al world all country precedente con massimi e mini crescenti dall’ultima correzione profonda del 2018

L’europa mostra, come sempre negli ultimi anni, un trend meno forte ma anche qui il trading system segnala di stare investiti

Stessa cosa per gli emergenti.

Il giappone, l’altro mercato che seguiamo, che rappresenta il 7% dell’indice MSCI World all country, in questo momento ci da un segnale out.

La forza dello Yen, che come l’oro ed il Bund,  è considerato un bene rifugio, ha fatto da contraltare al listino azionario giapponese ma  è consigliato il sottopeso.

Ci tengo a precisare ancora una volta che il suddetto trading system ha la funzione di cogliere ed individuare  i trend di medio lungo termine con il minor numero possibile di falsi segnali. I movimenti laterali del mercato purtroppo generano falsi segnali e quello che in gergo tecnico si definisce “rumore” ma quando il trend imbocca la via del rialzo o ribasso i segnali forniti sono di grande aiuto.

Ribadisco ancora una volta che non si tratta di un sistema che ci fornisce indicazioni sulla sopravvalutazione/sottovalutazione del mercato azionario. Infatti potrebbe accadere che il mercato continui a salire pur essendo sopravvalutato o continui a scendere pur essendo sottovalutato…ma il mercato a sempre ragione dunque analizzare i grafici ci permette di capire se stare dentro o fuori indipendentemente dall’analisi di variabili fondamentali quali gli indicatori di bilancio delle società e del mercato in generale.

Ovviamente sono disponibile e ben contento di accogliere suggerimenti ed idee sull’operatività di mercato ma non disponibile ad accettare qualsiasi operatività basata sulla discrezionalità poichè destinata nel tempo e negli negli anni a fallire.

 

 

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Indovina chi sarà il migliore

In questo articolo vorrei spostare l’attenzione su uno dei indici più famosi al mondo, il Dow Jones. Venne creato nel lontano 1896 da Charles Dow ed era composto da 12 titoli. Nel corso degli anni passò da 12 a 20 e 30 titoli. La rappresentazione che il Dow offre della economia american,a nel tempo, si è spostata dai prodotti agricoli e dagli elementi di base dell’ economia (carbone, acciaio, piombo, gomma e pellame) verso le compagnie tecnologiche, i fornitori di servizi finanziari, manifatturieri e commercio. Nel 1906 l’indice toccò i 100 punti per la prima volta ed oggi ha raggiunto e superato  i 25.000 punti. L’importanza di questo indice nel tempo è andata scemando a causa del procedimento di calcolo di questo indice che non è basato sulla capitalizzazione ma sul prezzo. Un metodo ponderato in base al prezzo non riflette il fatto che una variazione di $ 1 per un’azione da $ 10 è molto più significativa di una variazione di $ 1 per un’azione da $ 100. A causa dei problemi associati alla ponderazione dei prezzi, la maggior parte degli altri principali indici, come l’S & P 500, sono ponderati in base alla capitalizzazione di mercato ed è per questo che oggi sono più utilizzati.

Oggi , il DJIA comprende 30 società a grande capitalizzazione, quotate sul nasdaq e sul NYSE che sono scelte soggettivamente dagli editori del Wall Street Journal. Questi, solitamente, scelgono titoli di società che siano stabilmente operanti negli Stati Uniti e che hanno il ruolo di leader nel loro settore produttivo. Nel corso degli anni, le società presenti nell’indice sono state “modificate” per garantire che l’indicatore rimanga aggiornato e rappresentativo dell’economia americana.

Ma il mio scopo non è quello di fare una lezione sugli indici di mkt o sulle metodologie di calcolo quanto piuttosto di analizzarne la composizione e vedere se e come è cambiata nel tempo.

Dal 2018 general Electric non fa più parte del dow jones. È una notizia importante perché General Electric era l’ultima azienda, tra le 30 che fanno parte del Dow Jones, a essere presente fin da quando esiste l’indice e una delle poche a rappresentare ancora l’industria pesante statunitense, inizialmente prevalente nel Dow Jones. Al posto di General Electric, fondata nel 1892 e che produce dalle lampadine ai motori d’aereo, nell’indice è entrata ora Walgreens Boots Alliance, che esiste dal 2014 e si occupa di prodotto per la salute e il benessere.

Nel maggio 1896 le aziende all’interno dell’indice Dow Jones erano 12:

American Cotton Oil, American Sugar, American Tobacco, Chicago Gas, Distilling & Cattle Feeding, General Electric, Laclede Gas, National Lead, North American, Tennessee Coal and Iron, U.S. Leather pfd. eU.S. Rubber.

Un secolo dopo: con lo stesso nome e ancora come società indipendenti, esisteva solo General Electric.

Dal 1986 la lista di aziende all’interno del Dow Jones – che nel frattempo è passato da 12 a 30 aziende – è cambiata più di 50 volte. Nike fa parte del Dow Jones dal 2013; Apple dal 2015 (quando prese il posto di AT&T).

Le società del Dow Jones oggi sono:

3M, American Express, Apple, Boeing, Caterpillar, Chevron, Cisco Systems, Coca-Cola, DowDuPont, ExonMobil, Goldman Sachs, The Home Depot, IBM, Intel, Johnson & Johnson, JPMorgan Chase, McDonald’s, Merck, Microsoft, Nike, Pfizer, Procter & Gamble, Travelers, UnitedHealth Group, United Technologies, Verizon, Visa, Walmart, Walgreens Boots Alliance e Walt Disney.

Nell’ultimo anno  le azioni di General Electric hanno perso il 30% per cento del loro valore, mentre il Dow Jones è cresciuto di circa 11% per cento. Dopo l’uscita di General Electric dal Dow Jones la società al suo interno da più tempo è Exxon Mobil, che – seppur prima avesse il nome Standard Oil – è nell’indice dal 1928.

Un fenomeno sempre più frequente è inoltre la vita media di un’azienda che, a causa dello sviluppo della tecnologia sempre più rapido,  è sempre più breve.

A questo punto potremmo trovare tanto divertimento nello scovare le società che rimarranno protagoniste del famoso indice per i prossimi decenni in modo da lasciare ai posteri un segno tangibile della nostra abilità ma forse scopriremmo, quando sarà troppo tardi, che il divertimento e la presunzione hanno un prezzo da pagare.

E allora, rivaluteremmo la strategia della diversificazione, la consapevolezza del non sapere, la potenza della statistica  che premiano l’investitore che destina la maggior parte del portafoglio “core” secondo i criteri della capitalizzazione del mercato e solo una parte satellite al “divertimento”.

 

 

 

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Vendiamo ?

 

Questo è il quesito ricorrente che i clienti pongono al proprio consulente quando vedono dei profitti, soprattutto dopo periodi di vacche magre.

Parliamoci chiaro, quando si parla di mercato azionario, siamo un pò tutti allenatori come nel calcio ed ognuno di noi vuole dire la sua sul giusto approccio da tenere nell’investimento azionario. Siamo tutti esperti e ci lasciamo andare a dissertazioni che il più delle volte sono il frutto dell’emisfero destro del nostro cervello, specializzato nella creatività e fonte di emotività. Costa troppa energia chiamare in causa l’emisfero sinistro del nostro cervello che attiva la riflessione, la razionalità. Così, il nostro corpo, nel processo decisionale, spesso preferisce usare la parte delle emozioni, dell’istinto. Siamo stati creati così anche perchè all’origine dell’umanità c’era la necessità di prendere decisioni, da cui dipendeva la nostra stessa sopravvivenza, in nanosecondi e dunque l’uomo si è abituato ad usare l’istinto per prendere decisioni velocemente. Ciò ancora oggi nel processo d’investimento è più che mai vero e così il processo decisionale spesso non passa da una attenta analisi costi, benefici, etc., ma dall’utilizzo dell’intelligenza emotiva che nella maggioranza dei casi ci da consigli sbagliati e frettolosi. E così ricollegandoci alla finanza, finisce in pratica,  che si vende troppo presto un’ attività finanziaria che sta andando bene e si tiene per troppo tempo una che  sta andando male nella speranza che possa andare bene..

L’esperienza passata svolge anch’essa un ruolo determinante in questo processo e condiziona il comportamento  di colui che deve decidere sul da farsi. Se in passato ho accusato perdite rilevanti, piuttosto che cercare di approfondire il perchè è accaduto, preferisco il mordi e fuggi sbarazzandomi velocemente di un’attività non appena guadagno qualcosa. Ma è corretto ?

Puntualizziamo che sul mercato azionario non è mai corretto acquistare e/o vendere un’attività finanziaria senza una metodologia. Basare le proprie decisioni sul fatto che ho guadagnato o ho perso è la giusta strada per perdere opportunità nel tempo o addirittura perdere tanto denaro.

Sarò noioso, ma lasciatemi dire che esistono, a mio modo di vedere, solo due approcci agli investimenti. L’approccio contrarian e l’approccio follower. Tutte le altre strategie sono sottoprodotti. Chi mi segue sa che io sposo l’approccio al mercato trend follower. Il motivo è presto detto. Non mi piace, come accade nel primo approccio, prendere il coltello quando cade perchè non so mai da che parte riuscirò a prenderlo. E’ troppo pericoloso e si rischia di farsi male. L’approccio trend follower invece è quello che mi evita di avere grosse perdite. Chi adotta strategie di trend following parte da una consapevolezza: dal momento che farà delle entrate solo a trend già cominciato (e quindi per forza di cose in ritardo), spesso capiterà di ottenere pochi utili o addirittura di vivere delle piccole perdite. Tuttavia ad animarlo c’è una certezza: “One good trend pays for all the whipsaws”, ovvero quando si centra “un buon trend, esso ripaga di tutte le piccole perdite”.Ci vuole quindi pazienza, capacità di giudizio, saper tenere botta quando il trend si fa attendere e avere fede nel proprio trading system. Questa strategia parte dal concetto che è più facile che un trend partito prosegua piuttosto che inverta e che è meglio lasciar correre i profitti e tagliare le perdite.

Ma vediamo di rispondere alla mia domanda iniziale ovvero se è corretto vendere quando si guadagna….analizzando una tabella con i rendimenti annui dei principali indici azionari e materie prime dal 2007 ad oggi.

indici blog

Potremmo ripetere l’esercizio anche su periodi precedenti ma il risultato non cambierebbe. Se guardiamo l’indice world, che rappresenta le borse mondiali nel loro insieme, possiamo notare anche solo guardando la tabella, una prevalenza di colore verde rispetto al rosso. Il che ci dice (come sappiamo da tempo), che nei mercati azionari sono più gli anni positivi di quelli negativi (due terzi conto un terzo). Ci da anche un’altra informazione, ovvero che anche guardando gli anni negativi, sono rari gli anni estremamente negativi (2008). Ecco, il punto è proprio questo. Un buon trading system che segue il trend di medio-lungo periodo punta a darti il coraggio, la forza di stare e mantenere l’investimento quando il trend è forte ma ti eviterà di incorrere in forti perdite quando invertirà pesantemente.

Ho già menzionato varie volte gli svantaggi e vantaggi del trading system che seguo, tuttavia, senza rientrare nel merito, vorrei rimarcare il fatto che per questa strategia occorre pazienza e perseveranza in quanto pur essendo incentrata sul non fare mai grosse perdite e sul lasciare correre i profitti non è esente da falsi segnali che potrebbero erodere profitti. E’ un pò come pagare un premio per un assicurazione che mi protegga dal rischio rovina.

Una ricerca fatta da Dalbar, una società americana, che si occupa di finanza comportamentale, ha cercato di quantificare il costo dell’emotività dell’investitore. L’analisi è stata condotta sull’indice S&P500 dal 1996 al 2016. Ricordiamo che qui ci sono in mezzo due delle più grandi crisi della storia del mercato azionario. Ebbene l’indice ha avuto un ritorno annualizzato dell’7,68%, mentre il rendimento dei possessori dei fondi azionari è stato del 4,79% con una differenza del 2,89%.

Questa differenza è imputata alla presunzione del risparmiatore di entrare ed uscire dal mercato. L’investitore insomma ci vuole mettere le mani lasciandosi trasportare dalle emozioni della paura e dell’avidità senza avere un approccio disciplinato e metodologico.

Fare timing sul mercato non solo è un esercizio difficile ma spesso anche inutile e dannoso per l’investitore stesso ed ecco perchè si dice che il maggior pericolo per un investitore è l’investitore stesso …..

Operativamente, ben vengano quindi i piani di accumulazione, che aiutano ad essere disciplinati e partono dalla consapevolezza che non è possibile fare previsioni. Ma se non si vuole accettare il compra e tieni e orizzonte indefinito….allora occorrerà dotarsi di un metodo.

E gli Italiani orfani del tasso ed tra i maggiori risparmiatori al mondo, dovranno volenti o non volenti, avere a che fare con i mercati azionari e metterci la testa. Stare alla finestra, guardando il mondo che si muove, come sento dire spesso, ha avuto  un costo opportunità troppo alto in questi anni (vedi tabella)

 

 

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Morire in un paradiso fiscale

Stiamo vivendo sotto una forte pressione fiscale ma stiamo morendo ancora fiscalmente felici. Può sembrare paradossale ma nel paese tra i più tassati al mondo (sesto posto per pressione fiscale) ed un debito pubblico tra i più alti (quinto posto nel mondo come debito /pil ) passare a miglior vita costa ancora relativamente poco.

La mia riflessione trae spunto dalle molteplici situazioni familiari che osservo e che si apprestano ad affrontare il cosiddetto cambio di testimone o passaggio generazionale. Agli italiani, a differenza di altre parti del mondo, non piace proprio pensare a queste cose ed anzi il motivo per cui c’è poca pianificazione sull’argomento è perchè non parlandone si pensa inconsciamente ed io aggiungo scaramanticamente di allontanare il più possibile il giorno fatidico. Ma come ben sappiamo prima o poi arriverà il momento in cui tutti dovremo fare i conti con le conseguenze patrimoniali che la nostra dipartita provocherà.

La non conoscenza degli Italiani delle regole presenti in Europa contribuisce a far dormire sonni tranquilli ma ci sono elementi che se analizzati attentamente dovrebbero mettere in allarme i detentori di patrimoni immobiliari e finanziari in vista di una successione.

Il primo elemento è determinato dal fatto che il governo già nel 2015 e nel 2016 ha portato in parlamento una proposta di legge che prevedeva un aumento delle aliquote ed una riduzione della franchigia attualmente in vigore delle imposte di successione e donazione. Poi all’ultimo momento il provvedimento è stato tolto dal testo finale di legge. Diciamo che per ora l’abbiamo scampata. Ma è evidente che si sta andando verso una uniformazione delle imposte e franchigie successorie/donazione a quelle europee.

Il secondo elemento è costituito dal fatto che sappiamo che  lo stato è alla continua  ricerca  di nuove risorse e ciò spingerà i legislatori presto o tardi a rivedere anche questi tributi che ricordiamo essere tra i più favorevoli in Europa.

Pur non volendo dilungarmi in noiosi numeri ma piuttosto sul concetto, riassumo comunque le aliquote che sono differenziate in ragione del soggetto beneficiario:

– 4% con franchigia pari a 1 milione euro (per soggetto) per coniuge o parente in linea retta (figlio, nipote ..)

– 6%  con franchigia pari a 100.000 euro (per soggetto) per fratelli e sorelle

– 6% senza franchigia per altri parenti fino al 4° grado, affini in linea retta e collaterale fino al 3°grado

– 8% senza franchigia tutti altri soggetti

– 8% con franchigia pari a 1,5 milioni euro (per soggetto) in caso di beneficiario portatore di handicap

Inoltre allo stato attuale risultano di particolare favore le varie disposizioni previste in materia di modalità di calcolo del valore degli immobili e del valore delle partecipazioni sociali nonché l’esclusione dalla base imponibile per le polizze assicurative sulla vita, per i titoli del debito pubblico ed equiparati (sovranazionali) e per i trasferimenti di aziende e partecipazioni di controllo.

Dalle notizie che circolano sembrerebbe  che il governo in passato  abbia pensato di incrementare le aliquote e ridurre le attuali franchigie, tranne che per le successioni in linea retta (padre-figlio), per le quali potrebbero essere riviste solo le franchigie non superiori a 300-400 mila euro. Sempre notizie non ufficiali dicono inoltre che nessuna modifica vi sarebbe in cantiere per i titoli di Stato e le polizze Vita, attualmente esenti.

Riguardo alle polizze Vita occorre tuttavia dar conto della possibilità di un recepimento legislativo dell’orientamento espresso da parte dell’Agenzia delle Entrate volto a riqualificare alcuni tipi di polizze Vita, quali le polizze unit linked, che non rispondono tanto alla finalità di coprire l’assicurato da un rischio, ma al contrario lo espongono a un rischio finanziario in quanto in realtà consistono sostanzialmente in gestioni patrimoniali diversamente denominate. Tale riqualificazione potrebbe comportare la tassazione di tali tipologie di Polizze Vita in sede di successione.

Al fine di rendere più chiaro e sintetico l’argomento preciso che nel caso di linea retta (padre-figlio) la franchigia attuale di 1 MLN per beneficiario comprende la somma di immobili e beni mobili ( parte finanziaria). Oggi gran parte degli immobili è ancora accatastata a valori nettamente inferiori al mercato e dunque estremamente conveniente in fase successoria. Tuttavia la riforma del catasto è partita e revisionerà il valore degli immobili e terreni in modo da renderli aggiornati al valore reale che essi hanno.  L’effetto nei prossimi anni sarà dirompente tra aumento del valore degli immobili da inserire in successione/donazione da un lato e aumento delle aliquote e riduzione delle franchigie dall’altro.

Se desiderate vedere quale è la situazione in alcuni dei principali paesi d’europa potete leggere un mio vecchio articolo “Occhio alle tasse di successione”

Ora molti di voi diranno ma allora che fare ?

Pianificare sin da ora il passaggio a miglior vita con le molte leve a disposizione (donazione, nuda proprietà, usufrutto, trust, strumenti che escono dall’asse ereditario, etc) è non solo una decisione responsabile ma doverosa nei confronti delle persone a noi vicine al fine di preservare un patrimonio familiare costruito con tanta fatica e dispendio di energie. Ovviamente le figure che entrano in gioco e che potranno essere di aiuto  saranno il dottore commercialista, il notaio ed il consulente finanziario.

 

 

 

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Correzione o inversione ?

Credo che in questo natale 2018 molti consulenti finanziari e risparmiatori si stiano interrogando sul da farsi in un anno in cui tutte le classi d’investimento si apprestano  a chiudere l’anno in rosso. Qui sotto inserisco una tabella  (fonte quantalys) con i dati al 21 dicembre 2018 delle principali asset class nel 2018, 2011 e 2008 ovvero in anni recenti molto difficili.

Le obbligazioni, le azioni, le materie prime sono in rosso. Solo la liquidità e forse l’oro (+2%) potranno fregiarsi di rendimenti positivi. Ciò che colpisce quest’anno è la forte correlazione tra le varie asset class. Chi ha un portafoglio con un profilo di rischio/rendimento atteso che desiderava non dovrà fare nulla ed avere pazienza che è uno dei principali elementi di un buon investitore. Chi invece desidera gestire una parte dei propri risparmi in maniera tattica potrebbe trovare utile leggere ciò che scriverò. In questa sede infatti vorrei mostrare i principali indici mondiali con il trading system che uso al fine di individuare i trend azionari di medio-lungo termine. Come sappiamo potremmo suddividere i trend in primari e secondari. I primari sono quelli che durano da uno a più anni e quelli secondari quelli che durano da 3 settimane a vari mesi. I trend primari sono facili da individuare, guardando un grafico a 5 anni, infatti basta ricercare quale è l’ultima tendenza  che dura almeno un anno. Se la tendenza è al rialzo parliamo di mercato rialzista e e se la tendenza è al ribasso di mercato ribassista.

Il trend secondario dura da alcune (tre) settimane a diversi mesi. E’ un movimento correttivo del movimento primario ovvero il mercato ripercorre in direzione opposta una parte del rialzo primario.

Ecco, in un trend primario che dura anni si intervallano trend secondari con frequenza non prevedibile. A noi interessa cercare di  individuare l’inizio di un trend primario e la sua fine. A questo fine utilizziamo un trading system basato sull’incrocio di medie mobili ottimizzate su serie storiche sui principali indici mondiali che ci aiuti a capire quando il trend primario inizia e finisce. Ovviamente sappiamo che ogni trading system può avere falsi segnali e generare rumore e questo è inevitabile. Allora perchè lo usiamo ?

Per evitare di fare la fine della rana bollita in caso di grandi crolli del mercato  azionario. Variazioni entro il 20% infatti sono da ricondursi a correzioni del trend primario e non necessariamente condurranno ad un movimento ribassista del trend primario. E allora ecco che un sistema basato sulle medie mobili ci aiuta non a prevedere ma a darci dei segnali oggettivi su cui prendere decisioni. Ci permette di staccarci da valutazioni soggettive, personali e legate all’umore generale. (Spesso una bias cognitiva forte è caratterizzata dal cercare e condividere notizie che confermano le nostre convinzioni ignorando quelle contrarie). Se si è trattato di un falso segnale lo sapremo solo dopo. Ma l’obiettivo è di ragionare sempre con la prudenza e la diligenza del buon padre di famiglia per evitare di trovarsi nel mezzo di un forte movimento ribassista carichi di azionario. Movimenti ribassisti superiori a -40% sono molto rari ma accadono e dunque è una possibilità che dobbiamo considerare. Anche perchè un -40% da recuperare significa un 66% di rialzo.

Andiamo dunque a vedere la situazione grafica e quantitativa partendo  dall’indice mondiale all country.

world

La situazione sull’indice Morgan Stanley all country world è ancora rialzista. In questo grafico possiamo vedere come nel 2016 c’era stata una una correzione significativa e simile a quella che stiamo vivendo ed il sistema allora aveva dato un segnale di vendita che poi si era rivelò un falso segnale a posteriori. Ora aggiungiamo il grafico dell’indice s&p 500 USA.

USA

Anche qui per ora non abbiamo il segnale di vendita. E’ interessante vedere anche come il sistema ha lavorato andando indietro di 15 anni.

USA15

Da quest’ultimo grafico appare che nella crisi del 2008 il segnale non fu sbagliato e nemmeno il segnale di rientro !

Ora volgiamo uno sguardo allo stoxx600 ovvero l’indice europeo con le 600 aziende a maggiore capitalizzazione.

EXSA.DE_5A

Purtroppo come si può ben vedere dal grafico l’indice europeo non ha un trend primario ben definito e identificabile a 5 anni e dunque abbiamo diversi segnali di entrata ed uscita su questo mercato che hanno creano molto rumore (in gergo tecnico falsi segnali). L’utilizzo delle medie mobili in questo caso è utile ma non sufficiente da solo per prendere decisioni. Faccio notare che il  mercato europeo è sotto i valori del 2000 a distanza di 18 anni.

Una occhiata all’indice giapponese

giappone

Qui il trend primario a 5 anni è ancora rialzista e ad oggi non abbiamo un segnale di vendita nonostante la forte correzione.

Infine i mercati emergenti in cui il sistema ha fornito il segnale di vendita da mesi

emergentiok

I trend followers dicono che il trend è nostro amico intendendo che occorre seguirlo non andargli contro. Occorre assecondarlo e dunque vedremo le prossime sedute cosa accadrà sugli indici World ed USA al fine di ribilanciare la parte di portafoglio tattico di conseguenza. Come sempre dico questo non è e non vuole essere la migliore metodologia al mondo ma è un metodo.  Si dice che la borsa, come il signore, aiuta chi si aiuta ma a differenza del signore non perdona chi non sa quello che fa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Prima è meglio di poi

Ho intenzione di parlare di quella che tecnicamente viene definita “capitalizzazione composta” che è quel processo attraverso il quale in matematica finanziaria un capitale C impiegato per t anni ad un tasso i genera un montante composto. Abbiamo scoperto l’acqua calda ?

Ebbene dato l’innamoramento dell’Italiano medio per gli investimenti a cedola sembrerebbe proprio di si. La formula della capitalizzazione composta sarebbe  la seguente

Mt = C(1+i)t

la formula sopra ci dice che un capitale impiegato per un tempo t genererà un montante (capitale più interessi)  al tempo t.

Ben diverso è parlare della capitalizzazione semplice

          I = C·i·t

In cui I è la somma (interesse)  che otterrò al termine del tempo t impiegando il mio capitale al tasso i. Infatti al termine del periodo avrò ancora il mio capitale iniziale ed il mio interesse. Questa formula viene utilizzata per impieghi di capitale entro i 12 mesi. Come dice la parola stessa è una formula semplice. Ma perchè allora non utilizziamo questa formula anche per periodi superiori all’anno ? E a cosa serve la capitalizzazione composta ?

In pratica posso intascare periodicamente le mie cedole/interessi/dividendi dal mio capitale o decidere di reinvestire gli stessi continuamente fino a un punto di uscita definitivo. Nella seconda ipotesi entra in azione la capitalizzazione composta. Reinvestendo gli interessi ottimizzo il montante finale (poi spiegherò come) ed ho anche un vantaggio fiscale notevole. Infatti più si riesce a rinviare il pagamento all’erario, maggiori saranno i vantaggi che si otterranno. Il principe della finanza Warren Buffet ad esempio non distribuisce mai dividendi sostenendo che è meglio reinvestire totalmente l’ultile. Ricapitolando, un risparmiatore che decidesse di impiegare i propri capitali con un obiettivo di medio lungo termine (come dovrebbe essere) senza incassare dividendi o cedole beneficerebbe dell’approccio della capitalizzazione composta.

In realtà, credo che gli investitori che desiderino la cedola lo facciano più per motivi psicologici che per reali esigenze. Quindi se l’obiettivo vero dell’investitore è incassare cedole periodiche per esigenze proprie, l’investimento a medio lungo termine basato sul rendimento composto non va bene ma se l’obiettivo è la massimizzazione del capitale (per obiettivo casa, pensione, istruzione figli, etc.)  allora non rimangono alternative alla capitalizzazione composta. Ho citato come esempio la pensione perchè spesso mi capita di assistere a richieste di obbligazioni con cedole per il raggiungimento dell’obiettivo pensione. Se io oggi invece risparmio, ad esempio, investendo nella previdenza complementare, allora dovrei avere come obiettivo principale e prioritario la massimizzazione delle risorse disponibili all’età del pensionamento. Va da se che una linea azionaria con il renvestimento dei dividendi è la naturale soluzione.

Oggi, un giovane che andrà in pensione tra 30 anni con aspettative di vita sempre più elevate, potrà raggiungere un montante ottimizzato  ottenendo i massimi benefici investendo in un comparto azionario internazionale che avrà certamente una maggiore volatilità ma un maggiore risultato alla data di uscita grazie all’azione del rendimento composto, alla sterilizzazione dell’effetto timing (sbagliato ingresso sul mkt) ed al differimento delle imposte.

Ora visualizzeremo una tabella con dei numeri che ci aiuterà a capire meglio il concetto.

Investendo 10.000 euro oggi al tasso del 10% annuo con l’interesse semplice ovvero ritirando annualmente i cosiddetti frutti avrei al termine dei 10 anni 20.000 euro. Investendo oggi gli stessi 10.000 euro al tasso del 10% annuo  secondo l’approccio del rendimento composto decidendo di reinvestire gli interessi allo stesso tasso avrei un montante finale di 25.937 euro. Non proprio la stessa cosa direi. Immaginate di ragionare su capitali investiti maggiori, pensate che differenza ci sarà. Inoltre per semplificazione non abbiamo considerato l’effetto differimento imposte, che amplificherà maggiormente la differenza.

Guardiamo la differenza del capitale più interessi nel tempo con l’approccio dell’interesse semplice e composto illustrato con un grafico.

In pratica la differenza si amplia al crescere del tempo in maniera più che proporzionale. Ed ecco perchè è meglio prima che poi, prima si parte ad investire i risparmi e meglio è. Il tempo è nostro alleato e lavorerà per noi ma noi a nostra volta dovremo metterci metodo e pazienza.  Come sono solito dire ..i mercati sono per persone pazienti.

 

 

 

 

 

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The Fund

L’hanno chiamato “THE FUND”, o almeno così appare sulla loro homepage https://www.nbim.no/en/the-fund/ .

Si tratta del più grande fondo sovrano esistente al mondo. Qualcuno di voi penserà agli emirati arabi o a qualche paese asiatico. Nulla di tutto questo, si tratta del fondo sovrano norvegese e quindi di una realtà in Europa e costituita da uno stato per risparmiare per le future generazioni. Si recita “un giorno il petrolio finirà, ma la popolazione norvegese continuerà a beneficiare dei ritorni del fondo”.
Il fondo è stato costituito nel 1998 con l’obiettivo di accumulare i proventi derivanti dal petrolio trovato in mare ed ha raggiunto oggi la considerevole cifra di 890 miliardi di euro. Ciò che colpisce è anche la trasparenza di questo fondo il cui valore è aggiornato in tempo reale sul sito oltre che la mole di informazioni disponibili sulla composizione del fondo, variazioni, costi etc…

Direi che si tratta di un altro bel esempio di cultura nordica da importare e seguire come ad esempio la busta arancione del sistema pensionistico svedese di cui si parla da 20 anni  in Italia ma non è mai stata adottata.

Ma torniamo a parlare del fondo che investe in 72 paesi e ha partecipazioni in 9142 aziende che rappresentano l’1,4% delle compagnie quotate nel mondo. La Banca Centrale Norvegese si occupa della gestione di questo grandissimo “fondo pensione statale” con un approccio di lungo termine volto a generare forti ritorni e salvaguardare la ricchezza per le generazioni future. Il fondo investe in azioni, reddito fisso ed immobiliare. In particolare al 30 giugno 2018 l’asset allocation del fondo era la seguente

  • 66,8%   Investimenti azionari
  • 30,6%   Investimenti obbligazionari (reddito fisso)
  •    2,6%  Investimenti immobiliari

Il fondo segue benchmark del gruppo FTSE  (per l’azionario) e Barclays (per l’obbligazionario)  da cui derivano le macro asset allocation del portafoglio e seleziona le aziende in base ad una profonda analisi utilizzando  modelli universalmente riconosciuti per la selezione delle società. Ha un mandato che prevede un forte controllo e monitoraggio del rischio e se l’asset deve cambiare in misura considerevole il ministro delle finanze deve chiedere autorizzazione in parlamento. Si tratta insomma di un grande fondo comune d’investimento, il più grande al mondo.

La composizione geografica del fondo oggi è così suddivisa:

  • 36%  Europa
  • 41%  Nord America
  • 20% Asia e Oceania
  • 3%   Resto del mondo

Come ho già detto il fondo è partito nel 1998 e immagino siate curiosi di vedere quale è stato il risultato annuale e annualizzato cumulato. Per cui andiamo a vedere la tabella

Ad oggi 2018 il ritorno annualizzato cumulato è stato del 5,95%. Poco, molto …non saprei ma ciò che mi colpisce è che il risultato è stato raggiunto con un portafoglio diversificato a livello globale e non con pochi titoli, è stato raggiunto con un portafoglio che ha una forte componente azionaria e non con obbligazioni, è stato raggiunto con perseveranza e determinazione e non con la fretta di avere rendimenti a tutti i costi facendo timing.

Il fondo ha avuto anni in cui il risultato è stato fortemente negativo come il -23,31% nel 2008 o come nei primi anni 2000. Aver però tenuto la rotta e la fiducia nel mantenere una elevata componente azionaria come da mandato ha permesso ad oggi di aver un risultato notevole. E la vera sfida negli investimenti non è fare previsioni (che nessuno è in grado di fare) ma costruire un portafoglio efficiente, contenere  e monitorare il rischio (volatilità) su livelli che si è disposti ad accettare e soprattutto avere tanta pazienza e fiducia in quello che si sta facendo. Anche quando tutto sembra remarci contro e rimaniamo soli, in compagnia di una stampa e campagna mediatica spesso volta a fare sensazionalismo piuttosto che informazione. La vera sfida è quella di riuscire ad allontanarci dal momento e mantenere un pensiero indipendente e razionale basato su tesi dimostrate dal tempo. Guardiamo l’ultima tabella che mostra i rendimenti annuali delle principali asset class del portafoglio del fondo

Le perdite subite dal comparto azionario in alcuni anni sono state notevoli e sono arrivate anche ad un -40% ed hanno durato anche 3 anni (2000-2003) ma non hanno impedito ed anzi hanno contribuito in misura considerevole a determinare la performance complessiva del portafoglio nel tempo. Come dire, per arrivare in paradiso devo passare per l’inferno ed il purgatorio inevitabilmente. O pensiamo che non abbiano avuto  le competenze per passare indenni in alcuni momenti  tra le gocce del temporale ?

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Alternativi ? Sì, ma a cosa ?

Vorrei parlare degli alternativi ovvero di quei fondi comuni di investimento che utilizzano le possibilità offerte dalla normativa UCITS III che rende questi fondi di nuova generazione simili ad hedge fund. Questi ultimi sono fondi speculativi esistenti da tempo, noti per il loro appetito al rischio e per un regolamentazione che potremmo definire molto elastica. Il loro obiettivo era ed è sempre stato quello di generare un rendimento indipendentemente dall’andamento di mercato. Per fare questo utilizzano tecniche di “short selling ” cioè vendite allo scoperto, utilizzo dei derivati anche oltre il 100% del patrimonio allo scopo di ridurre i rischi del portafoglio o aumentare i rendimenti e ultima ma non meno importante la leva finanziaria. Si tratta di prendere a prestito denaro fino a 4/5 volte il patrimonio netto per investirlo e lucrare la differenza. Molti di voi ricorderanno l’hedge fund long term capital management di Merton e Scholes (Long term capital management) che faceva della leva finanziaria e delle tecniche di gestione avanzatissime il proprio cavallo di battaglia ma che nel 1998 fallì creando una grande buco che richiese l’intervento della federal reserve. Faccio presente, a coloro i quali non ricordano chi fossero  Scholes e Merton, che nel 1997 si aggiudicarono un premio nobel per l’economia e dunque non erano certo degli avventurieri. Ma purtroppo quando si usa la leva finanziaria ed altre strategie ad alto rischio qualcosa può andare storto. Per cui io direi che la giusta definizione per un Hedge fund è Fondo Speculativo. Il fondo comune infatti a differenza di un hedge fund è un fondo d’investimento con delle normative, che regolamentano la gestione, ben precise e che delimitano l’operato del gestore in un recinto limitando i danni nel caso in cui qualcosa vada per il verso sbagliato. Ritornando a bomba sul titolo la recente normativa UCITS III ha permesso ai fondi comuni che lo desiderano di acquistare fino al 100% dei derivati sul patrimonio netto e dunque di operare come o similmente ad un Hedge fund. Le case d’investimento hanno fatto a gara per sfornare fondi ad alto uso di derivati e leva che vengono denominati e raggruppati come Alternativi. Per comodità, vista la numerosità della tipologia nella categoria, potremmo distinguere gli alternativi  in modo approssimativo ma più comodo in 3 gruppi:

-Alternative Low volatility

-Alternative Medium volatility

-Alternative High volatility

Fondamentalmente il driver è il rischio, assunto dal manager, derivante dall’utilizzo dei derivati e dalla leva finanziaria ed in base a questo viene fatta una prima importante distinzione. Praticamente viene definito un range, in cui la volatilità del fondo dovrà oscillare,  e maggiore sarà il range (esempio da -10% a +10%) di oscillazione su un certo orizzonte temporale tanto maggiore sarà il rischio assunto. Viene anche stabilito generalmente un VAR ovvero la perdita massima che si potrà ottenere dall’investimento su un certo orizzonte temporale in un certo intervallo di confidenza …

Ma senza addentrarci troppo nella materia chiediamoci il perchè dell’offerta lievitata di questi prodotti. La risposta è apparentemente semplice. Diciamo che in questo caso  la domanda ha creato l’offerta. Le fabbriche prodotto non hanno fatto altro che creare uno strumento che rispondesse alle esigenze degli italiani. Quest’ultimi non amano la volatilità dei mercati e dunque chiedono uno strumento che abbia una volatilità contenuta entro certi termini e soprattutto un rendimento in qualsiasi situazione di mercato. Il fattore di successo di questi fondi le cui masse hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli è proprio questo. E diciamocelo francamente, sarebbe il sogno di tutti !

Ecco, peccato che con il passare del tempo, si sta capendo che si trattava appunto di un sogno e che i rendimenti li fanno i mercati nel bene e nel male. La risposta alla prima esigenza dei risparmiatori ovvero avere uno strumento a volatilità controllata è stata buona ma ahimè non si può certo dire la stessa cosa riferendoci alla seconda esigenza cioè il rendimento in qualsiasi condizione di mercato. Vediamo cosa è successo nei fatti analizzando i migliori  alternativi a 3 anni ed 1 anno ex post.

alt 3 anni

alt tab 3 anni

Come potete vedere dal grafico a 3 anni abbiamo messo a confronto l’indice azionario globale (world all country) con i migliori alternativi all’epoca. Noterete certamente che l’indice azionario internazionale ha avuto una volatilità molto maggiore rispetto a questi fondi analizzati. In alcuni momenti questi fondi hanno protetto l’investitore ma alla fine della fiera questa protezione, minore volatilità è stata ottenuta a scapito del rendimento. Se osservate la tabella della performance a 3 anni vedrete come su 14 fondi analizzati solo 4 sono usciti con un rendimento positivo a fronte di un indice world a 15,98%.

Stessa analisi può essere riportata ad un anno

alt 1 anno

alt tab 1 anno

E qui ancora una volta vediamo molti segni meno e pochi segni positivi. Su 14 fondi analizzati addirittura solo 3 sono stati in grado di generare ritorni positivi a fronte di un World a +10,32%.

In questi fondi alternativi la gestione attiva del manager deve essere di grande qualità il che è una rarità e soprattutto è difficile prevedere chi sarà il protagonista negli anni a venire. Da questa analisi emerge come il fondo Adagio ed il fondo Global macro siano presenti in entrambe le analisi con rendimenti positivi e dunque che i gestori siano di qualità e capaci. Tuttavia gli studi dimostrano che non c’è persistenza nei fondi. Per cui occorrerà che questi fondi alternativi  occupino una posizione marginale nel portafoglio.

Regalano meno volatilità ma il vero problema è che per guadagnare sui mercati occorre esporsi ai mercati e comprare volatilità. Il tempo ha sempre premiato chi ha investito nell’indice azionario globale ed ha sopportato la volatilità, navigando nei mari in tempesta. In fondo si dice “premio per il rischio” per questo motivo riferendosi al rendimento di una attività rischiosa rispetto al tasso free risk.

E allora sembra che questa nuova moda degli alternativi sia piuttosto un alternativa al rendimento !

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