R.I.T.A., ora non ho più scuse

Oggi usciamo dal tema mercati finanziari per occuparci di previdenza complementare. Certo, meno eccitante ed affascinante dei mercati fiannziari o del tema intelligenza artificiale, ma sicuramente molto più impattante sulla nostra vita. E la dimostrazione di quello che vi dico, è data dal fatto che l’articolo più letto di sempre dall’apertura del mio blog è “abbattere il reddito imponibile con i fondi pensione”

Non ho intenzione di tediarvi con tutti i vantaggi del fondo pensione spiegandoveli nel dettaglio ma forse un piccolo riassunto a punti può essere utile:

-deducibilità fino a 5164,57 euro annuale anche se versati per figli a carico

-bonus giovani con possibilità di dedurre dal reddito contributi eccedenti 5164,57 euro

-tassazione delle plus al 20% anzichè al 26% e esenzione imposta di bollo 0,20%

-tassazione a scadenza dei premi dedotti sia per prestazione in capitale che rendita al 15% riducibile al 9%

-esenzione dalle imposte di successione

Va da se che, la diretta conseguenza dei punti di cui sopra, è considerare un crimine lasciare il TFR in azienda, prchchè quando verrà erogato sarà tassato all’aliquota media degli ultimi 5 anni. Lasciatemi pur dire che è folle sia per l’azienda che per il lavoratore. Entrambi non stanno facendo una scelta razionale e di certo il lavoratore non sta facendo i propri interessi. Sottolineo infatti l’esistenza dell’obbligatorietà nei fondi negoziali del datore di lavoro, di versare una % mensile della busta paga nel fondo pensione, che si perderebbe laddove il TFR fosse lasciato in azienda.

Bene, questi sono solo alcuni dei vantaggi oggettivi fiscali di cui gode il fondo pensione dall’introduzione della normativa, che da soli sarebbero sufficienti a giustificare immediatamente l’adesione di un lavoratore dipendente e di un autonomo ad un fondo pensione negoziale/aperto. In questa sede tralasciamo anche altri vantaggi quali, il differimento d’imposta e conseguente rendimento maggiore rispetto ad un’altra forma d’investimento a parità di rendimento, la facoltà di avere una rendita vitalizia a scadenza che faccia in modo che io non sopravviva ai miei soldi, la possibilità di designare un beneficiario in caso morte prima della prestazione diverso dagli eredi legittimi, impignorabilità ed insequestrabilità. Insomma un potente strumento di pianificazione finanziaria e successoria ma che viene spesso ignorato dai più.

Già, perchè mettersi a tavolino a ragionare sul decreto legge fondi pensione, e approfondire tematiche fiscali, finanziarie e successorie, è noioso. Parlare di quanto potrei guadagnare da un capitale investito da qui ad un anno, magari facendo congetture e ragionando su cifre irrisorie che anche se raddoppiate non farebbero la differenza nella mia vita, è molto più interessante.

Inoltre c’è l’abitudine del pensare “hic et nunc”, qui ed ora rimandando decisioni che potrebbero sembrare complicate, pensando di poter rimediare in qualche modo poi. Ma dimenticando che l’effetto “magia del rendimento composto” funziona solo se abbiamo molto tempo davanti.

Ma forse la resistenza maggiore, è rappresentata dal pensare che al raggiungimento della prestazione di anzianità/vecchiaia erogata dallo stato (con un gap da colmare sempre più amplio), posso accedere al montante fondo pensione solo con erogazione 50% capitale e 50% rendita. E qui gli Italiani non sono avezzi a ragionare in termini di rendita vitaliza perchè poi mi dicono… e se muoio presto ?

Beh rispondo io, c’è lo stesso problema con la pensione pubblica una volta iniziata l’erogazione, ma come per la pensione pubblica c’è anche nel fondo pensione la possibilità di chiedere la reversibilità su un’altra testa ad esempio il coniuge.

E così il governo nel 2018 raccoglie questa preoccupazione degli Italiani che gradiscono il capitale e non la rendita…e va dritto alla risoluzione del problema introducendo R.I.T.A.

Non si tratta di una bella signora , ma dell’acronimo di rendita integrativa temporanea anticipata, che permette di accedere prima del raggiungimento della pensione di vecchiaia (oggi 67 anni) ad una erogazione frazionata del montante del fondo pensione accumulato. In particolare i requisiti per l’accesso sono:

-cessazione rapporto lavoro

-non più di 5 anni alla maturazione della pensione di vecchiaia

-requisito contributivo minimo di 20 anni

-5 anni di permanenza nel sistema previdenziale complementare

oppure

-inoccupazione superiore a 24 mesi

-non più di 10 anni alla maturazione dell’età pensione vecchiaia

-5 anni permanenza nel sistema previdenza complementare

In questo modo, in pratica, possiamo ottenere l’erogazione di tutto il montante maturato o una sua parte a scelta dell’aderente.

Last but non the least, è anche possibile chiedere prima del pensionamento, la restituzione del montante totale ad esempio e lasciare aperto il fondo pensione per poter versare anche successivamente al fondo pensione ancora aperto per benefici fiscali.

In caso di decesso dell’iscritto al fondo pensione durante l’erogazione della rendita R.I.T.A. la parte rimanente non ancora riscattata non entreà nell’asse ereditario, non sconterà l’imposta di successione e sarà riscattata da eredi/beneficiari.

Concludo dicendo che, anche l’ultima resistenza, ovvero l’indisponibilità del capitale versato nel fondo pensione (TFR, contributi volontari e datore lavoro) più interessi, non ha più alcun senso. Io non posso e non devo convincere nessuno ma devo informare perchè questo è il mio lavoro e ciò per cui sono pagato. A voi ora l’invito all’azione.

Pubblicità
Pubblicato in Finanza | Contrassegnato , | Lascia un commento

Il mercato è ancora sopravvalutato?

Il Warren Buffet indicator è uno dei miei preferiti metodi di valutazione del mercato azionario, e ovviamente, il preferito da Warren Buffet da cui deriva il nome dell’indicatore. Insieme al modello di Shiller il “CAPE P/E”, il Warren Buffet indicator è risultato molto utile negli anni per capire se il mkt azionario è equamente valutato, sopravvalutato o sottovalutato in un dato momento. Puntualizzo come sempre, per non essere frainteso, che questo indicatore è un elemento importante da utilizzare nel processo di valutazione del un mkt azionario ma andrà aggiunto ad altri elementi di valutazione per arrivare ad una conclusione di buon senso.

In questo articolo ci occuperemo solo dell’indicatore Warren Buffet. L’indicatore è costituito dal rapporto capitalizzazione di mercato e prodotto lordo del paese. Partiremo dal mercato USA ovvero dal mercato in cui abbiamo più dati disponibili e da quello che Warren Buffet ha maggiormente utilizzato per valutare il mercato domestico in cui ha operato in questi ultimi decenni. In pratica, si rapporta il valore delle azioni sul mercato in un dato momento, al prodotto lordo domestico del paese. Una recente variante prevede di inserire al denominatore il prodotto interno lordo e gli asset della banca centrale, ma il risultato finale non cambia di molto, e si arriverebbe alla stessa conclusione.

Nel grafico possiamo vedere il valore di questo rapporto variare nel tempo, dal 1970 ai nostri giorni. La ratio è che, quando il rapporto è nella parte bassa del grafico, il mkt azionario è sottovalutato, siamo in una fase di pessimismo mentre quando il rapporto è nella parte alta del grafico, il mercato è sopravvalutato. Come possiamo vedere dal grafico il valore medio si attesta a 82,8%, valore al quale corrisponde una capitalizzazione di mercato che è pari all’82,8% del PIL. L’indicatore è stato applicato in questo caso all’indice Wilshire 5000, l’indice più completo per rappresente l’universo investibile USA. E’ particolarmente evidente nel grafico di cui sopra, come ad un periodo di forte sottovalutazione del mkt azionario dal 1970 circa al 1995 ne sia seguito uno di forte e persistente sopravvalutazione partito nel 2010 e in atto ancora oggi. Chiaramente queste due fasi corrispondono a cicli economici depressi come quelli degli anni 70 e cicli fortemente espansivi come quelli partiti nel 2010. Non possiamo non notare, come i migliori punti di ingresso sul mkt azionario USA, siano stati in corrispondenza di bassi rapporti Market cap/GDP. Per mostrarvi la correlazione positiva tra bassi rapporti e buoni momenti di ingresso sul mkt possiamo pasare al grafico successivo

In questo grafico vediamo il Buffet Indicator confrontato con l’indice S&p500 USA dal 1950. A valore molto bassi di questo rapporto come negli anni 75/85 e 2003/2009 è poi seguito un ciclo fortemente rialzista del mercato azionario. Alla stessa stregua quando l’indicatore è stato su livelli massimi ovvero il 1967, il 2000 ed il 2021 sono seguiti mercati ribassisti di differente durata. Oggi l’indicatore tratta a 146% e dunque potremmo certamente dire che il mercato azionario USA non è a sconto. Dobbiamo ricordarci, tuttavia, che livelli di sopravvalutazione del mkt vengono a volte mantenuti anche per periodi lunghi prima di tornare verso il loro valore medio e lo stesso discorso vale per i periodi di sottovalutazione. L’indicatore quindi dovrebbe essere molto utile per decidere che esposizione tenere sul mercato di riferimento analizzato (in questo caso USA), sovrappesando quando il rapporto è basso e sottopesando quando il rapporto è alto.

Sono sicuro che molti di coloro che stanno leggendo l’articolo si stiano chiedendo cosa esprime l’indicatore sugli altri mercati azionari mondiali. Anche io me lo chiedo sempre e dunque acco un foglio di calcolo che esprime i valori assunti in questo momento dall’indicatore sui maggiori mercati azionari del mondo confrontandolo con i massimi ed i minimi assoluti toccati nella loro storia.

la tabella rileva che Europa (Germania, Spagna, Italia,ad esempio), Cina e diversi mercati emergenti siano particolarmente lontani dai loro massimi storici e comunque molto al di sotto del 100%. Potremmo pensare quindi si sovrappesare queste aree perchè i prezzi del mercato azionario sono ragionevoli e maggiormente “fair” aspettandoci quindi un ritorno alla media nel prossimo futuro, armandoci dei soliti ingredienti necessari sui mercati: pazienza e fiducia.

Pubblicato in Finanza | Contrassegnato , , , , | 2 commenti

Sarebbe utile pensarci prima…

In questo breve articolo, vorrei rinnovare nei miei lettori “diversamente” giovani, l’invito a riflettere sul dopo di noi. L’occasione, ripetuta negli ultimi tempi, di aver assistito all’apertura di successioni che hanno prodotto effetti indesiderati sui beneficiari dei patrimoni, mi ha spinto a riprendere l’argomento sperando di fornirvi qualche utile input.

Si, lo so, a nessuno di noi fa piacere pianificare il proprio patrimonio in anticipo prima della propria dipartita. Allontanare quel momento ha un effetto esorcizzante tuttavia siamo certi che sarà impossibile farlo dopo…

Ma cosa succede quando si passa a migliore vita dal punto di vista patrimoniale.

Alla morte del de cuius si apre la successione che in mancanza di testamento viene chiamata legittima. L’eredità si devolve per legge al coniuge, ai figli e ai parenti fino al sesto grado; in mancanza di questi soggetti sarà lo Stato che risponderà dei debiti ereditari solo entro il limite dei crediti che rientrano nel patrimonio ereditario. Gli eredi entrano in possesso di tutti i beni che cadono in successione. Tra questi beni, che vanno a formare il patrimonio ereditario, vi potranno essere beni mobili (qualsiasi oggetto, denaro, preziosi, e simili) e beni immobili (appartamenti, case, anche in locazione).

Operativamente i chiamati all’eredità, dovranno presentare allo Stato entro 12 mesi attraverso una dichiarazione di successione, il subentro al patrimonio ereditato.

Una volta presentata la dichiarazione, anche se dopo la scadenza del termine di presentazione, ma prima che l’Agenzia delle entrate abbia provveduto a notificare l’accertamento d’ufficio, quest’ultimo liquida l’imposta in base ai risultati della dichiarazione. Questa deve essere pagata, ai sensi dell’articolo 36 del Testo Unico, dagli eredi, in solido per quanto dovuto da loro e dai legatari, dai chiamati all’eredità

nel possesso dei beni ereditari e nel limite del valore di questi e dai legatari relativamente ai propri legati.

Una volta calcolata la base imponibile, si può procedere ad applicare sulla stessa le imposte di successione, con le aliquote che saranno a loro volta stabilite sulla base del rapporto di parentela che intercorre tra il dante causa e l’avente causa.

In maggior dettaglio, le imposte sono pari al:

  • 4% nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta (presente una franchigia di 1 mln euro per ciascun beneficiario);
  • 6% nei confronti degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché degli affini in linea collaterale fino al terzo grado (presente una franchigia di 100 mila euro per ciascun fratello o sorella);
  • 8% nei confronti degli altri soggetti

Le imposte ipotecarie, catastali e di bollo relative agli immobili invece devono essere autoliquidate dagli eredi e dai legatari e versate tramite modello F23 che dev’essere allegato alla dichiarazione in copia.

Non voglio tuttavia in questa sede occuparmi dell’aspetto operativo amministrativo ma offrire spunti di riflessione sulle conseguenze, dal punto di vista patrimoniale, che impatteranno sugli eredi e quali strumenti ha a disposizione ciascuno di noi per assicurare un passaggio ordinato e auspicato dei propri asset patrimoniali.

In Italia il patrimonio delle famiglie è fortemente sbilanciato verso l’immobiliare. Di qui partirò per segnalarvi che uno dei casi più frequenti a cui assisto è quello in cui gli eredi ricevono un patrimonio immobiliare indivisibile o gravato da irregolarità che ne impediscono anche la vendita. A volte, quando il numero di eredi è elevato, queste situazioni impediscono ai beneficiari di trovare una soluzione in tempi brevi e finiscono spesso in litigi ed controversie giudiziali. La difficoltà di accettare una perizia ritenuta equa, il frazionamento degli immobili su più beneficiari ed eventuali irregolarità catastali degli immobili, gravano di preoccupazioni gli eredi che si trovano a dover aspettare anni per entrare nella disponibilità dell’immobile per poi poter decidere cosa fare.

Senza entrare nel merito delle “donazioni” e delle peculiarità di questo atto da vivo che i notai sconsigliano, ma che potrebbe già essere una prima soluzione, potremmo parlare del testamento. Si tratta di un atto scritto con il quale una persona dispone delle proprie sostanze, in tutto o in parte, per il tempo susseguente alla sua morte. Uno strumento molto efficace per risolvere il problema di una equa ripartizione del patrimonio immobiliare e comunque secondo il volere del testatore. Quest’ultimo, infatti, conosce i suoi beneficiari, i loro gusti, le loro esigenze e le loro situazioni patrimoniali e nessuno meglio di lui può pianificare una successione immobiliare destinando l’immobile A a Caio, l’immobile B a Tizio e magari l’immobile C a Sempronio. In questo modo Caio, Tizio e Sempronio non riceveranno una quota di ciascun immobile magari indivisibile ed in compropietà, ma un immobile ciascuno, di cui potranno disporre liberamente. Ovviamente il testamento dovrà essere scritto in modo tale che non ci sia una lesione della quota legittima spettante a ciascun legittimario, pena esercizio azione di riduzione da parte degli eredi lesi. Quindi, per quanto il testamento possa essere scritto da ciascuno di noi di proprio pugno, sarebbe opportuno redigerlo con l’aiuto di un legale per evitare queste ultime problematiche. Visto anche il verificarsi frequente del mancato allineamento dell’immobile con il catasto, per non parlare delle situazioni più gravi di irregolarità non sanate, potrebbe anche essere l’occasione per sistemare le cose prima che la patata bollente cada nelle mani degli eredi. Infatti la chiamata necessaria ed indispensabile, per poter disporre dell’immobile come si vuole, all’allineamento catastale prevede anche il sostenimento di costi importanti che inevitabilmente e spiacevolmente dovranno essere sostenuti dagli eredi. In un testamento anche di questo aspetto si potrà e dovrà tenere conto, gestendo attivamente la quota disponibile. Infatti Il testatore, può disporre solo di una quota del proprio patrimonio, che varia tra un quarto e la metà dell’intero asse ereditario. Questa quota consente così al testatore di riequilibrare a proprio piacimento, e nel rispetto della sua volontà da vivo, le quote destinate agli eredi/legatari.

Senza entrare in questa sede nella sfera degli strumenti utilizzabili in vita, per predisporre una successione “ordinata” quali le donazioni, le polizze vita, le fiduciarie, il fondo patrimoniale, i patti di famiglia, i trust, sarebbe auspicabile che ognuno di noi facesse un check di pianificazione successoria insieme al proprio consulente finanziario.

Quest’ultimo ha a disposizione

Un “Tool di analisi patrimoniale e successoria“, che consente di analizzare la situazione patrimoniale globale del clienteTale strumento si caratterizza per tre passaggi logici fondamentali, ciascuno rispondente a una determinata finalità:   

  • censire l’attuale situazione patrimoniale e familiare del cliente, per fornirne una sorta di “fotografia” il più dettagliata ed esaustiva possibile;
  • simulare gli effetti di una successione secondo le ordinarie norme civilistiche (successione ex lege), per evidenziare le conseguenze di una devoluzione patrimoniale non pianificata, con le relative criticità (in termini, ad es., di fruibilità, lesione della quota di riserva, erosione delle franchigie previste per l’imposta di successione e donazione etc.);
  • simulare gli effetti di una successione testamentaria, per valutare le conseguenze di una pianificazione patrimoniale attuata secondo i desiderata del cliente, con la possibilità di modificarla fino ad ottenere la soluzione preferita (“fine-tuning”).

Come sempre, sono solito dire, usatemi.

Pubblicato in Finanza | Contrassegnato | Lascia un commento

Il 2022…l’anno della normalizzazione

L’anno che ci stiamo lasciando alle spalle è l’anno che i più ricorderanno come l’annus horribilis per i mercati finanziari, ma che io ricorderò come l’anno che ha salutato il ritorno alle politiche monetarie convenzionali dopo anni di politiche monetarie non convenzionali. L’anno in cui, chi ha il pallino in mano dell’economia, ovvero le banche centrali, ha abbandonato la strada della distribuzione del denaro a pioggia e del denaro a basso costo, per imboccare la via della restrizione monetaria e dell’aumento del costo del denaro. Prima o poi doveva succedere, perchè chi ha un minimo di nozioni economiche di base, sa benissimo che, quando le banche centrali introducono troppa liquidità nel sistema, il rischio che l’inflazione parta è tutt’altro che remoto. Già nel 2021 si stava assistendo ad un inizio di surriscaldamento dei prezzi, e nel 2022, complice anche il conflito in corso, l’inflazione si è ripresentata dopo decenni, in tutta la sua forza con rialzo a doppia cifra. Le banche centrali, che avevano fino ad allora esitato, sono corse subito a spegnere l’incendio adottando tutti gli strumenti a disposizione. E lo strumento principe è la leva dei tassi d’interesse, che da negativi, sono passati negli USA al 4,5% nel giro di pochi mesi. Il rialzo dei tassi, pur essendo atteso, ha portato perdite in conto capitale ai detentori di obbligazioni ed azioni. Qui sotto, una tabella riassuntiva delle performance 2022 dei principali indici

La tabella di cui sopra mostra rendimenti negativi su tutte le asset class principali, escluse oro e materie prime. In realtà questi dati sono mitigati dall’apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro. Significa che l’investitore europeo ha ridotto le perdite poichè in parte sono state compensate dal dollaro forte per la parte di portafoglio investita in dollari (World ed USA). Anche l’esposizione all’oro (bene rifugio per eccellenza durante periodi inflattivi) avrebbe prodotto ritorni negativi, se non fosse stato per il dollaro. Quindi potremmo dire che poteva andare peggio e che sicuramente peggio questa volta è stato per un investotore americano.

La trasversalità delle performance negative tra le varie asset, è la causa di risultati estremamente negativi anche su profili conservativi. La sorpresa con cui i risparmiatori prudenti apprendono i risultati quest’anno, documenta la totale estraneità a quanto accaduto. Possiamo affermare, senza possibilità di essere smentiti, che la parte principale di un portafoglio prudente è composta da obbligazioni. Ma è proprio qualsiasi tipo di obbligazione, sia essa governativa che societaria, indipendentemente dalla sua durata, che ha accusato perdite a doppia cifra, come testimonia l’aggregate bond globale che ha lasciato sul terreno un 12%. Basti pensare, d’altro canto, che un investitore posizionato con un asset 100% azioni world, dunque dinamico, avrebbe subito perdite pari a un 14,38%.

Ora, siccome le due situazioni precedenti, 100% bond o 100% azioni, sono quanto mai rare vorrei con voi analizzare l’andamento di portafogli più reali perchè più vicini che troviamo nella realtà.

Nel grafico sopra sono rappresentati tre portafogli classici ovvero il 60% azioni e 40% bond, che potremmo definire il portafoglio per antonomasia della parte core di una pianificazione a lungo termine, un portafoglio 35/65 e 80/20.

Come possiamo vedere, a nulla sarebbe servita una diversificazione tra azioni e obbligazioni e neanche il diverso peso assegnato alle due asset in relazione al profilo di rischio dell’investitore. Qualsiasi scelta ci avrebbe portato a risultati simili. C’è stata una correlazione positiva tra le due asset, che ha eliminato il vantaggio della diversificazione.

Anche i classici lazy portfolios come ad esempio quello ideato negli anni 70 da Harry Browne, caratterizzato da una volatilità storicamente bassa ( ha un 25% di oro), avrebbe avuto un risultato nefasto per un investitore americano, come potete vedere qui sotto (raffrontato con l’indice azionario americano).

E se volessimo scomodarci andando a vedere le performance nel 2022 di altri lazy portfolios celebri per la loro bassa volatilità, drawdown e risultati ottenuti in passato, ecco qui una lista dei più celebri ed ultilizzati al mondo

L’unica strategia vincente è risultata la strategia azioni a dividendi stabili/crescenti, che avrebbe reso imbarazzante il risultato della strategia “conservative portfolio”.

Tutto questo per cosa dire:

-che qualsiasi risultato abbiamo ottenuto quest’anno dai nostri investimenti va messo in relazione al mercato in cui investiamo.

-che non esistono formule magiche nella costruzione e gestione di portafoglio

-che se abbiamo fatto delle scelte di buon senso e razionali di pianificazione finanziaria non dobbiamo farci assalire dai dubbi di aver sbagliato qualcosa se il risultato oggi non ci da ragione

-che, come dico sempre, per raggiungere un risultato di lungo termine in linea con le nostre aspettative dobbiamo accettare della volatilità

ultimo, ma non meno importante, che non è andata poi così male…

Buon anno!

Pubblicato in Finanza | Contrassegnato | Lascia un commento

Ora che faccio ?

One of my stocks dropped 30%, I wonder if I should sell.

“Una delle mie azioni ha perso il 30%, mi chiedo se è meglio vendere…”

I don’t think adding money to my portfolio is wise right now.

“Non penso che aggiungere soldi al mio portafoglio sia saggio ora”

I’m losing money right now; I don’t like it.

“Sto perdendo soldi in questo momento; Non mi piace”

The market is down today. What if it’s the beginning of the next crash?

“Il mercato è in ribasso oggi. Cosa succede se questo è l’inizio del prossimo crash ?”

I’m paralyzed in front of my computer; I just can’t click on the buy or sell buttons.

“Sono paralizzato davanti al mio computer; Non riesco a cliccare sul tasto compra o vendi”

Queste sono alcuni stralci di frasi, che ho trovato recentemente sul web navigando tra forum di finanza, blogger e financial advisor, di risparmiatori certamente preoccupati. Ho citato testualmente, riportando le frasi in lingua originale, perchè forse danno maggiormente l’idea dello stato confusionale in cui queste persone si trovano. Confusione, ansia e paura che spesso derivano dall’ignoranza, nel senso buono del termine, di ciò che sta accadendo, della scarsa conoscenza della storia dei mkt e dal non aver preparato per tempo un piano B.

E allora parliamo della conoscenza, come tassello principale per costruire la nostra confidenza in ciò che facciamo, fugare i dubbi e mantenere la barra dritta nelle situazioni in cui la maggior parte di noi mette in dubbio tutto. Un buon grado di conoscenza della storia dei mkt, dalla loro origine fino ai nostri giorni, può infatti aiutarci a comprendere che la situazione che stiamo affrontando. Perchè non è la prima volta che si presenta e non sarà certamente l’ultima. Non è una punizione divina che è arrivata dal cielo per colpire me, ma una caratteristica intrinseca dei mkt che potremmo semplicemente definire volatilità. (ovvero dispersione dei rendimenti dalla loro media storica). Se conoscessimo la storia dei mercati negli anni, sapremmo anche, che è proprio dopo anni estremamente volatili che è arrivato puntualmente il premio per l’investitore. Ma non per tutti, solo per quelli pazienti. Qualcuno dice, con tanto buon senso, che occorra in questi momenti sviluppare come una letargia, una sorta di pigrizia, per domare quell’emotività che ci condurrebbe a fare gravi errori.

Quindi, mi propongo di aiutare gli investitori spaventati, con questo post, dissipando una parte della loro “ignoranza” attraverso una tabella che esprime dal 1928 ad oggi i rendimenti annuali del maggiore mercato al mondo ovvero quello americano. Nella prima colonna visualizzeremo i rendimenti annuali del principale indice azionario, nella seconda del governativo decennale, e nella terza di un portafoglio composto per il 60% dall’indice azionario e per il 40% da obbligazioni. Tutto in valuta domestica.

Il perchè di questa tabella è presto detto. Oggi giorno è raro trovare chi ha solo un portafoglio interamente azionario. Più frequentemente siamo investitori con portafogli bilanciati con diversi gradi di rischio. L’obiezione che mi potrebbe essere mossa a questo punto alla mia analisi, potrebbe essere relativa al fatto che stiamo considerando dati USA. Vero, tuttavia in un portafoglio world, gli USA rappresenterebbero circa il 65%, per cui se sovrapponiamo un indice USA ad uno World le conclusioni a cui arriveremmo sarebbero molto simili non cambiando la sostanza dell’analisi. Non ci interessa in questa sede sapere che distanza dovremo coprire esattamente per andare da A a B ma che la direzione sia corretta.

La prima cosa che, anche ad un profano, dovrebbe balzare all’occhio, è il colore prevalente. Vi chiedo di dirmi ad una prima occhiata, qual’è il colore della tabella che vi cattura, che vi sembra prevalere …

Dite la verità, lo avete individuato immediatamente…ma certo il verde !

Bene, allora andiamo a mettere a terra il significato del colore verde di questa tabella. Significa che per la maggioranza del tempo, dal 1928 ad oggi, l’investitore diligente azionario, obbligazionario e bilanciato avrebbe avuto ritorni positivi dai propri investimenti.

Si contano sulle punta delle dita gli anni che hanno presentato rendimenti negativi, contemporaneamente su tutte e tre le classi di investimento: azioni, obbligazioni, portafogli bilanciati.

Si tratta degli anni evidenziati in giallo, ovvero il 1931, 1941, 1969, 2018 e …2022.

Ebbene, gli anni successivi sono sempre stati anni in cui, almeno una, ma più spesso tutte e tre le classi di investimento, hanno avuto ritorni positivi o molto positivi. Perfino dopo il tremendo 1941, nel pieno della seconda guerra mondiale, un conflitto dagli esiti ancora incerti, il mercato ha premiato gli investitori pazienti e fiduciosi con rendimenti a doppia cifra su tutte e tre le classi di investimento.

Che insegnamento ne possiamo trarre:

che se abbiamo un portafoglio che ha azioni ed obbligazioni, ad esempio un’allocazione 60% azioni e 40% obbligazioni, non dobbiamo temere nulla ma essere solo pazienti per andare a raccogliere i rendimenti e le opportunità che il mercato, inevitabilmente, ci offrirà.

che la volatilità che dovremo attenderci, sarà meno della metà di quella di un portafoglio totalmente azionario. Che i tempi di recupero saranno molto più brevi dell’azionario e che dunque questi sono momenti in cui un portafoglio 60/40 non va venduto ma magari implementato con un’ottica di medio termine.

Ma se vi ricordate bene, all’inizio dell’articolo, vi ho detto che le ansie vengono scatenate dalla non conoscenza e dalla mancanza di un piano B.

Vi spiego cosa intendo per piano B. Il piano B è il metodo o i metodi che ho scelto di applicare alla gestione del mio patrimonio. Ad esempio, potrei avere aperto dei piani di accumulazione in fondi/etf e deciso preventivamente di attuare dei versamenti aggiuntivi quando il mercato perde il 20% o viceversa di fare dei rimborsi quando il mkt performa un +30%. Potrei avere un portafoglio bilanciato 50/50 gestito in maniera statica. In questo caso la metodologia che potrei perseguire è quella di ribilanciare i pesi delle asset nel portafoglio periodicamente ad esempio ogni anno per riportare il portafoglio in equilibrio. Oppure potrei avere un portafoglio che vorrei gestire in maniera dinamica seguendo una strategia trend following per cui seguirò un sistema che mi dirà quando andare al 30% di azionario o al 70% di azionario. Ancora, potrei aver tenuto della liquidità in portafoglio, da utilizzare quando il mkt scenderà sotto certi livelli che mi ero prefissato.

Questi sono i piani B !

Tutte le metodologie preventive implementate che ci consentono di evitare errori di valutazione generati da un’errata interpretazione delle informazioni in possesso. E’ noto infatti che l’uomo tende a risolvere un problema con la soluzione più semplice ed immediata, ma che spesso, non è la soluzione migliore.

Ricapitolando, un’adeguata conoscenza della storia dei mercati unita ad un piano B nel caso qualcosa vada per il verso sbagliato, sono i pilastri necessari per controllare i nostri Animal Spirits ovvero la nostra emotività, come soleva chiamarla John Maynard Keynes !

Pubblicato in Finanza | Contrassegnato , , , , , | Lascia un commento

Se avessi comprato azioni Amazon…

Quante volte sento questa frase e quante volte mi è frullata per la testa. In fondo sarebbe stato sufficiente acquistare qualche azione amazon 20 anni fa per diventare milionari. Talmente facile e ovvio che potremmo bussare alla porta del nostro vicino di casa e averne conferma. In realtà sarebbe stato sufficiente osservare il suo tenore di vita drasticamente cambiato per accorgersene…Ma allora, perchè se era talmente ovvio e facile, io, al contrario del mio vicino, non mi sono seduto al buffet ? Dove ho sbagliato ? Perchè magari, se capisco l’errore, riesco a trovare la nuova Amazon.

Con il senno di poi, siamo tutti bravi. La storia della finanza è costellata di scienziati ex post. Ma noi, “non siamo venuti giù con la piena” , e sappiamo che se è vero che la fortuna aiuta gli audaci, solo una consapevolezza adeguata può salvare l’uomo sul mercato finanziario. In altre parole, se rapportiamo il numero di investitori nel mondo a quelli che sono diventati milionari facendo stock picking, ovvero selezionando un’azione contravvenendo alla prima regola degli investimenti che è la diversificazione, ci renderemmo conto subito, che la probabilità di diventare ricchi scegliendo un azione tra le decine di migliaia di aziende quotate, è forse minore alla probabilità di vincere una lotteria nazionale.

Ma il fascino della lottery stocks list (lista di azioni che potrebbe farci arricchire) è spesso vincente rispetto ad una pianificazione finanziaria che segua determinate regole stabilite dal buon senso. Del resto l’uomo è un sognatore…

Ora vediamo perchè cercare di selezionare l’azienda che sarà protagonista a livello planetario nei prossimi 20 e più anni è una pratica impossibile.

Per dimostrare quello che dico, andiamo a vedere la composizione del Dow Jones industrial average nel 1991. Vediamo delle aziende con nomi e storia molto altisonanti dell’economia americana come quelle elencate qui sotto

Allied-Signal Incorporated
Eastman Kodak Company
Minnesota Mining & Manufacturing Company
Aluminum Company of America
Exxon Corporation
Philip Morris Companies Inc.
American Express Company
General Electric Company
The Procter & Gamble Company
AT&T Corporation
General Motors Corporation
Sears Roebuck & Company
Bethlehem Steel Corporation
Goodyear Tire and Rubber Company
Texaco Incorporated
The Boeing Company
International Business Machines Corporation
Union Carbide Corporation
Caterpillar Inc.
International Paper Company
United Technologies Corporation
Chevron Corporation
JPMorgan Chase|J.P. Morgan & Company
The Walt Disney Company
The Coca-Cola Company
McDonald’s Corporation
Westinghouse Electric Corporation
E.I. du Pont de Nemours & Company
Merck & Co., Inc.
F. W. Woolworth Company
American Can CompanyNavistar International|Navistar International Corporation
U.S. Steel|USX Corporation

ma questa lista, che ribadisco rappresentava nel 1991 le maggiori aziende USA, nel 2020 si presentava con altri protagonisti

3M
Goldman Sachs|
Nike, Inc.
American Express
The Home Depot
Procter & Gamble
Amgen Inc.
Honeywell|
Salesforce|
Apple Inc.
Intel|Intel Corporation
The Travelers Companies
Boeing
IBM
UnitedHealth Group
Caterpillar Inc.
Johnson & Johnson
Verizon Communications
Chevron Corporation
JPMorgan Chase
Visa Inc.
Cisco Systems
McDonald’s
Walgreens Boots Alliance
The Coca-Cola Company
Merck & Co.
Walmart|
Dow Inc.
Microsoft
The Walt Disney Company
ExxonMobil
Pfizer
Raytheon Technologies

Potremmo fare questo giochetto ogni decade per scoprire che ci sono protagonisti che se ne vanno e vengono sostituiti da nuovi player. Non ci sarebbe nemmeno bisogno di scomodare un esempio eclatante ma un esempio vale più di mille parole. Se guardiamo bene, nella lista del 1991, c’era un’azienda che negli anni 80 era stata protagonista nel suo settore e che facilmente sarebbe stata oggetto, dopo le strabilianti performance, di interesse per un investitore. Al tempo avremmo probabilmente scommesso che l’azienda sarebbe stata protagonista della prossima decade e invece nel 2020 scopriamo che non solo l’azienda è uscita dall’indice Dow Jones ma addirittura è fallita !

A questo serve conoscere la storia, non per prevedere il futuro, ma per sapere cosa può succedere quando siamo in overconfidence e vogliamo concentrare tutto su un titolo perchè “sicuramente” è e sarà una scelta vincente.

Ma c’è un altro punto su cui mi voglio soffermare. Ancorchè io sia stato particolarmente bravo/fortunato da scegliere il cavallo vincente, sono così sicuro di riuscirlo a tenere, anche quando inevitabilmente perderò soldi ?

Quando il mercato cala, spesso, si dice che si butta “il bambino con l’acqua sporca”, ovvero tutti i titoli scendono, anche quelli che fanno capo ad aziende che saranno le protagoniste di domani. E quando i titoli calano, la perdita di denaro fa attivare l’amigdala, quella parte del cervello che attiva la paura e l’ansia e scatena la reazione di fuga che accomuna tutti gli animali in trappola e siccome la sofferenza generata dalla perdita di denaro ha una intensità doppia rispetto ad un guadagno equivalente…corriamo a vendere…

Perdere denaro è talmente doloroso che molte persone vendono tutto quando sono vicine ai minimi…

Atteggiamento che nel caso di Kodak avrebbe salvato quel poco rimasto ma che nel caso di amazon…

Nel caso di Amazon avrebbe fatto perdere un 93% dal 1999 al 2001 ma poi non avrebbe consentito di realizzare nei successivi 20 anni…

un guadagno probabilmente milionario ….

In definitiva cosa apprendiamo da questo esempio;

non dobbiamo canalizzare risorse per cercare la pepita d’oro, poichè il motivo per cui investiamo, non è guadagnare più soldi della media rischiando di romperci l’osso del collo, ma di mettere in atto un piano finanziario ed una disciplina comportamentale che possano condurci, con un buon margine di sicurezza, dove vogliamo. Alla fine, l’importante non è tagliare il traguardo prima degli altri, ma assicurarsi di tagliarla la linea del traguardo !

Pubblicato in Finanza | Contrassegnato | Lascia un commento

Quanto perdo da inizio anno ?

Già, perchè trovare qualcuno che performa positivo nel 2022 è davvero difficile…

Ma quel numero negativo che vedete da inizio anno è nella norma, è migliore o peggiore della media dei portafogli simili al vostro ?

Per comprendere questo, dobbiamo prima di tutto fare luce sui risultati dei principali indici dei mercati, obbligazionari, azionari, materie prime o immobili.

Questa analisi è molto importante poichè ci consente di capire se il nostro portafoglio ha performato bene in relazione a due aspetti:

-il profilo rischio/rendimento che desideravamo avere quando abbiamo costruito il portafoglio

-il benchmark di riferimento del nostro portafoglio

Solamente analizzando questi due aspetti e confrontandoli con il risultato ottenuto potremo dire:

-Ah, ok sono soddisfatto, sono sulla strada giusta

-no, non sono per nulla soddisfatto, e ho paura che la strada che sto percorrendo non mi porti dove spero

Attenzione però a non fare confusione. Il solo fatto stesso che ho un risultato negativo da inizio anno non mi deve fare arrivare alla conclusione che stiamo necessariamente sbagliando qualcosa.

Lo ribadisco sempre, se non si è soddisfatti dei risultati ottenuti, inutile lamentarsi. Occorre fare un’attenta analisi per evidenziare le criticità e poi passare all’azione facendo le cose in maniera diversa rispetto a come le si è fatte prima. Ma prima ancora bisogna analizzare il portafoglio e le sue prestazioni attentamente sulla base di dati oggettivi e non discrezionali.

Per fare una prima analisi di largo spettro ci serviremo delle performance dei principali indici mondiali delle varie asset class da inizio anno. Qui sotto i risultati per un investitore in valuta euro.

performance dei principali indici mondiali in euro

I rendimenti delle varie asset class quest’anno hanno beneficiato della forza del dollaro su euro, motivo per cui un investitore europeo investito in valuta euro ha performato meglio del mercato di riferimento.

E per avere una idea più chiara di come gli indici siano stati influenzati positivamente dal dollaro ,facciamo una analisi con gli stessi dati della tabella precedente, ma in valuta dollaro.

performance dei principli indici mondiali in usd

Dai dati della tabella di cui sopra leggiamo, ad esempio, che l’indice MSCI AC America ha perso il 17,43%. Diciamo quindi che, per un investitore USA, il mercato azionario quest’anno è stato molto negativo. Questo confronto ci consente di capire quanto anno perso gli indici in valuta locale senza l’influenza del cambio. Si tratta di una questione importante poichè l’indice di un mercato azionario incorpora le aspettative sugli utili delle aziende che rappresenta, mentre il cambio va a cambiare le carte in tavola confondendo il tutto.

Ma torniamo a noi e facciamo il caso classico di un portafoglio 50% azioni e 50% obbligazioni. Si tratta di un portafoglio definito “bilanciato”. Ovviamente, ipotizziamo anche, che l’investitore sia residente nell’unione europea ed abbia investito il 01/01/2022. Supponiamo anche che il portafoglio si stato costruito rispettando i pesi che i titoli azionari ed obbligazionari hanno nell’indice mondiale. Quindi un profilo di rischio bilanciato.

La performance che potrei aspettarmi oggi in totale assenza di costi (poichè stiamo usando indici) sarebbe -6,88%.

Questo è il dato che dovrei utilizzare per confrontare, ad esempio, la performance dei fondi bilanciati classici o magari di un fondo bilanciato flessibile, per capire se è giusto pagare commissioni a quel gestore attivo, ma è anche il parametro che dovrei utilizzare per analizzare la performance del mio portafoglio. Ho gestito il mio portafoglio da solo o con l’ausilio di un consulente finanziario…non importa, ma ciò che è importante è avere un termine di paragone per capire se sono sulla strada giusta. Sarà infatti questo dato ha rassicurarmi sulla bontà dei rendimenti attesi e sulla loro realizzazione nel medio lungo termine. Qualora il mio risultato complessivo si sia discostato molto dal benchmark di riferimento preso in considerazione, dato il mio profilo di rischio, dovremmo chiederci a cosa è dovuto questo scostamento. Se è dovuto ad un profilo di rischio diverso rispetto al benchmark (e dunque chiederci se non sia il caso di rivedere il mio profilo di rischio per riallinearlo al benchmark desiderato) oppure se dovuto ad una scelta di asset allocation non world ma magari frutto di considerazioni personali e scelte tattiche. In quest’ultimo caso l’analisi dello scostamento avrà ancora più importanza poichè numerosi studi dimostrano che le scelte di asset allocation strategica contribuiscono in misura prevalente, rispetto alle altre componenti in gioco quali timing e scelte tattiche, al risultato di gestione nel medio lungo termine.

Dimenticavo, potreste appartenere a quelli che io sono solito definire “gli scienziati”, ovvero coloro che fanno scelte credendo di sapere, trovandovi magari in posizione di vantaggio rispetto al parametro. Beh, sappiate che non sarà facile mantenere il vantaggio, ma vi faccio un gran in bocca al lupo e vi lascio con una citazione:

“Se assumiamo che vi sia un risultato standard o normale ottenibile dall’investimento in titoli, allora il ruolo del consulente può essere meglio definito. Egli userà la propria abilità ed esperienza per proteggere il cliente da possibili errori e per assicurargli i risultati cui i soldi investiti danno diritto“

Benjamin Graham

Pubblicato in Finanza | Contrassegnato , , , | 3 commenti

Meglio pagare un consulente a parcella o a provvigioni ?

Lo so, lo so…molti di voi leggendo l’articolo avranno pensato “ma devo proprio pagarlo ?”. Beh, se volete la risposta al quesito la troverete in un mio vecchio articolo del 2017 dal titolo “Perchè pagare un consulente finanziario

Per cui, dato per scontato, che nessun professionista debba lavorare gratis, andiamo a a sviscerare l’argomento fee (parcella) o provvigioni (commissions). Se avete un consulente finanziario professionista, a partita iva, certamente lo pagherete in una di queste due modalità. Avrò dunque il piacere di illustravi le differenze tra le due soluzioni di pagamento che avrete a disposizione evidenziandone i lati positivi e negativi. Vi indicherò, al termine dell’articolo, anche quale sia la mia preferenza e perchè.

Per dovere di cronaca, ricordo che in Italia dal 2019, esiste anche la figura del consulente finanziario indipendente slegato dall’intermediario finanziario.

Il tema è scottante poichè non c’è giorno in cui in Europa non si discuta della revisione della MIFID ovvero della direttiva MiFID II (2014/65/EU), entrata in vigore dal 3 gennaio 2018, che ha sostituito la precedente direttiva MiFID (2004/39/EC) che aveva disciplinato i mercati finanziari europei dal 31 gennaio 2007. L’obiettivo di questa importante normativa è di creare un terreno competitivo uniforme («level playing field») tra gli intermediari finanziari dell’Unione europea, senza pregiudicare la protezione degli investitori e la libertà di svolgimento dei servizi di investimento in tutta la Comunità.

Una parte importante della discussione verte proprio sulla modalità di remunerazione dei consulenti che operano per gli intermediari finanziari. Più di qualcuno vorrebbe un sistema in cui gli intermediari finanziari non percepiscano commissions dalle società prodotto aprendo di fatto la strada alla consulenza a parcella (fee). Questa interpretazione è già stata recepita e adottata da UK e Olanda.

La premessa era necessaria, poichè, la modalità di remunerazione del consulente, ha una conseguenza sul conflitto di interesse che probabilmente è una delle principali cause degli scandali finanziari succedutesi negli ultimi anni, causando in molte situazioni la perdita totale del patrimonio. Lo stesso conflitto di interesse che si presenta tutte le volte in cui vengono distribuiti prodotto inefficienti ai risparmiatori, determinando, danni economici enormi per quest’ultimi e il paese. Basti pensare alla differenza di capitale maturato a scadenza, tra un fondo pensione efficiente e uno inefficiente e ad alto costo, per un sottoscrittore di fondi pensione

Senza scomodare i casi più eclatanti quali Parmalat, Cirio, Finmatica, etc, il conflitto di interesse si verifica in generale ogniqualvolta l’intermediario (nello specifico il consulente) colloca al risparmiatore strumenti finanziari non efficienti e non nell’interesse esclusivo del risparmiatore. Detto in altre parole, se nell’ambito di una corretta pianificazione finanziaria il consulente finanziario è spinto a proporre prodotti finanziari su cui lui o l’istituzione che rappresenta ha un maggiore guadagno, trascurando prodotti della concorrenza che per il risparmiatore potrebbero essere più fruttuosi.

Per cui, fermo restando, che ciascuna istituzione e consulente, ha un proprio codice etico a prescindere dalle regolamentazioni del settore, non vi è dubbio che la diversa modalità di remunerazione dell’intermediario nell’erogazione della consulenza finanziaria, può fare la differenza. Quando l’intermediario, attraverso il consulente, non percepisce commissions sui prodotti che colloca dalle case prodotto avremo la garanzia assoluta che la consulenza erogata sia totalmente priva di conflitto di interesse. Il risparmiatore avrà dunque la certezza che gli strumenti finanziari che avrà nel portafoglio saranno stati scelti per la loro efficienza e nell’esclusivo suo interesse.

Laddove invece, il consulente operi per un intermediario, che percepisce provvigioni (commissions) dalle case prodotto, rigirandole poi al consulente finanziario, ci si troverà in un sistema potenzialmente inquinato in cui il risparmiatore non avrà la certezza che il consulente/intermediario stia agendo nell’esclusivo suo interesse. Il consulente che opera per l’intermediario, dovrà essere quindi dotato di grande etica, e anteporre gli interessi dei suoi clienti ai suoi o a quelli dell’intermediario per il quale lavora, per cercare di garantire la massima efficienza in una pianificazione finanziaria.

Dopo questa breve lettura non so che idea vi siate fatti voi, ma credo che la soluzione a parcella (fee), sia probabilmente la preferita da tutti coloro che desiderano essere affiancati da un consulente finanziario nelle proprie scelte.

Beh, allora problema risolto potremmo dire, infatti anche se non arriverà la regolamentazione che impedirà agli intermediari di ricevere le commissions dalle case prodotto, gli intermediari potrebbero farsi pagare le fees per la consulenza erogata. Giusto ma in Italia questa modalità stenta a decollare, pur mostrando segnali di interesse, essendo chiaro che è molto più facile vendere prodotti finanziari ai risparmiatori facendogli credere che non costano nulla piuttosto che negoziare una fee annua per una consulenza finanziaria palesandone i costi. Potremmo affermare quindi che gli intermediari sono cinici e avidi di denaro ma dall’altra parte ci sono risparmiatori che non sono disposti a pagare la consulenza finanziaria solo se questa produce un risultato positivo a breve termine non riuscendo a percepirne il valore. Invece il valore aggiunto della consulenza è tangibile quando la pianificazione finanziaria viene fatta utilizzando strumenti efficienti, scelti con criteri oggettivi quantitativi e non discrezionali. Quando l’asset allocation di un portafoglio viene costruita con metodologie universalmente riconosciute. Quando i ribilanciamenti, monitoraggi e qualsiasi altra scelta fatta nell’ambito della pianificazione successoria a quella previdenziale viene fatta per migliorare il rapporto costi/benefici per il cliente. E’ largamente dimostrato che una consulenza indipendente porta ad una riduzione dei costi pagati dai risparmiatori rispetto alla modalità commissions.

In definitiva, una consulenza erogata in assenza di conflitti di interesse, porterà nel tempo a risultati migliori ma affinchè possa essere erogata dovrà trovare un bacino di fruitori disponibili a pagarla a parte.

Nei miei articoli non sono solito a fare accenni all’intermediario per il quale lavoro, ma questa volta dovrò fare un’eccezione. Finecobank mi ha dato la possibilità di scegliere la modalità con cui essere pagato:

– Fee only, ovvero direttamente dai clienti, con addebito sui conti Fineco delle fees mensili per la consulenza. Un servizio completamente privo di conflitti di interesse non prevedendo alcuna retrocessione dalle case prodotto di provvigioni (commissions) a Fineco e e a me. Servizio che prevede inoltre l’azzeramento delle commissioni di negoziazione degli strumenti finanziari.

-Commission, retribuzione a provvigioni. Fineco retrocede al consulente una parte delle commissioni di gestione degli strumenti finanziari collocati al risparmiatore nell’ambito della pianificazione. In questo caso il cliente non vede costi palesati in addebito sul conto anche se nella maggioranza dei casi sostiene costi maggiori.

Come dire occhio non vede cuore non duole.

A voi la scelta, la riflessione…, per quanto mi riguarda continuerò a svolgere il mio lavoro come ho sempre fatto mettendomi dall’altra parte della scrivania, chiedendomi sempre, se le proposte che sto facendo le farei a me stesso !

Pubblicato in Finanza | Contrassegnato , , , | Lascia un commento

Ma cosa c’è dentro questi fondi !

Quante volte ho sentito pronunciare questa frase da investitori rimasti scottati dall’investimento in fondi comuni d’investimento. Nella maggioranza dei casi si trattava di un’obiezione priva di fondamento poichè in realtà si può sapere, anche se a volte con un pò di ritardo, cosa c’è dentro il portafoglio del fondo ma soprattutto perchè il gestore del fondo ha un mandato che deve sempre rispettare. Ragion per cui non sarebbe necessario analizzare il contenuto del fondo. Infatti il mandato che ha è come se fosse un recinto, in cui il gestore è costretto a muoversi e dunque una garanzia per il consumatore della finanza, che il gestore non impazzisca e commetta imprudenze. Il cosiddetto recinto in cui deve muoversi prevede limiti di concentrazione, ovvero la garanzia che il portafoglio titoli presente nel fondo sia sufficientemente diversificato in modo da ridurre al massimo il rischio emittente. Prevede inoltre che il gestore rispetti il mandato del fondo in relazione all’obiettivo di rendimento. Ma anche in questo caso, il rendimento obiettivo dichiarato non servirebbe a molto se, in parallelo, il gestore non fornisse altri due importanti parametri: la volatilità massima del fondo e l’orizzonte temporale consigliato.
E’ infatti indispensabile associare al rendimento obiettivo anche l’arco di tempo suggerito (per esempio tre anni piuttosto che cinque) e la volatilità massima (per esempio il 5% piuttosto che il 10% su base annua) per conoscere il tipo di rischiosità che si dovrà consapevolmente accettare di correre durante il periodo dell’investimento. Mi perdonerete questo cappello ma era necessario per poter introdurre il caso di oggi. Analizzeremo infatti l’andamento di un fondo comune le cui vicende hanno recentemente occupato qualche pagina di giornali specializzati.

Parleremo del fondo AcomeA 12 mesi, un fondo comune della nota società di gestione del risparmio Italiana fondata da Alberto Foà. Scopo del fondo:

-Il Fondo, di tipo obbligazionario, ha come obiettivo la preservazione del capitale, con un orizzonte temporale di breve periodo e con un livello di rischio basso. Il Fondo investe principalmente in strumenti finanziari di natura monetaria ed obbligazionaria, denominati principalmente in Euro. Duration tendenzialmente non inferiore a 6 mesi e non superiore a 12 mesi.

Come recita la scheda del fondo facilmente reperibile, in pratica il gestore ha come obiettivo la preservazione del capitale con un rischio basso ed un orizzonte temporale tra i 6 e 12 mesi. Ora, non voglio entrare nel merito della composizione del portafoglio del gestore, in quanto oltre a non averne le capacità di analisi, ritengo che le scelte siano state fatte con cognizione di causa. Ma da semplice consulente finanziario appassionato di finanza, desidero porre alla vostra attenzione l’andamento del fondo dal 2010.

Il fondo AcomeA 12 mesi è stato messo a confronto dal sottoscritto con un benchmark a breve termine come potrebbe essere il jP morgan EMU cash 12 mesi. Pur essendo perfettamente consapevole che non è lo stesso benchmark utilizzato dal gestore del fondo (il cosiddetto recinto), il confronto ci fa capire la grande differenza tra la volontà del gestore di raggiungere nel tempo (12 mesi) l’obiettivo della preservazione del capitale e il risultato ottenuto.

Quest’ultimo punto, va a giustificare ed alimentare frasi del tipo…”cosa ci sarà dentro questo fondo”…poichè se l’investitore, prima dell’adesione, legge il kiid con le informazioni chiave del fondo compresa la politica di gestione e l’obiettivo del fondo e poi si trova con risultati per nulla congruenti con ciò che viene dichiarato, sia in termini di rendimento, rischio e volatilità oltre che di orizzonte temporale, allora fa bene a dubitare dei fondi comuni d’investimento.

Eppure i vantaggi del fondo comune sono innegabilmente ed oggettivamente enormi e danno una tutela massima al consumatore della finanza. E allora dov’è il problema ?

Il problema sta nella deontologia professionale del gestore e nel rispetto del mandato che gli è stato conferito. Sarà l’autorità di vigilanza poi, che dovrà intervenire, se il mandato non viene rispettato.

Fortunatamente, casi come questi sono rari, ma dei campanelli di allarme c’erano ben prima degli ultimi eventi

RENDIMENTI ANNUI
annofondo
2011-3,38%
201213,92%
20132,29%
20141,01%
20150,16%
2016-0,18%
2017-0,10%
20180,07%
20191,50%
20202,39%
2021-7,33%
2022-11,72%
rendimenti annui del fondo AcomeA 12 mesi

Ad esempio, un rendimento del fondo che investe in titoli obbligazionari scadenza 12 mesi, come ha fatto nel 2012 a registrare un rendimento del 13,92% ?

E come ha fatto nel 2020 ha registrare un rendimento del 2,39% con i tassi delle obbligazioni affidabili a 12 mesi che rendevano zero ?

Queste sono le domande che avrebbe dovuto porsi un investitore o meglio un consulente finanziario prima di sottoscrivere o raccomandare un fondo orizzonte 12 mesi come questo. In finanza non ci sono pasti gratis !

E per coloro i quali, a questo punto, trarranno conclusioni affrettate liquidando tout court il discorso fondo, gli risponderei con una domanda:

Quali altri strumenti finanziari consentono la stessa tutela ?

Possiamo disquisire sul tema gestione attiva (fondo comune) o passiva (etf), valutandone i pro ed i contro di entrambi ma non i vantaggi dello strumento fondo. Il fondo impedisce il rischio rovina nell’investimento già solo per la diversificazione che fa. Certo, rimane il rischio mercato direte voi …ma se voi trovate un modo per eliminare quest’ultimo, abbraccerò volentieri le vostre proposte.

Piuttosto, vero è che anche la raccomandazione di un gestore di un fondo, deve prevedere una analisi preliminare sulla qualità del gestore, sui suoi risultati e soprattutto un monitoraggio successivo sulla capacità del gestore di raggiungere gli obiettivi che si è posto. Potete decidere voi se farlo autonomamente o pagare qualcuno che lo faccia al vostro posto ma deve essere fatto.

Fino ad allora ricordiamoci che la gestione del risparmio richiede attori preparati altrimenti prima o poi il mercato separerà i soldi dagli stupidi

Pubblicato in Finanza | Contrassegnato , , | Lascia un commento

Roller Coaster

Eccoci qui, in questo inizio di nuovo anno, che avrei voluto passare sciando, ad occuparci ancora delle dinamiche dei mercati e dei cicli economici. Diciamoci la verità, ciò che rende estremamente affascinante i mercati, è la loro imprevedibilità. E come sempre, l’inizio di ogni anno nuovo, porta con se oltre agli oroscopi anche numerose previsioni sui mercati finanziari delle principali case d’investimento e dei loro guru. Chissà perchè, poi però, alla fine dell’anno, nessuno, a parte loro stessi (e a volte neanche), si ricorda che cosa avevano predetto…

Ma si sa, nel circo delle previsioni finanziarie, tutto questo è parte integrante dello spettacolo. Sapete come la penso in proposito, piuttosto che spendere il nostro tempo nel leggere report, meglio analizzare dati e numeri che esprimono sempre oggettività e fotografano una situazione reale.

Proprio ragionando con questa logica oggi vorrei commentare con voi alcune slides che comunemente in finanza vengono definite “Roller Coaster”. Proveremo ad analizzare i ritorno totale (aumento prezzi più dividendi) del mercato azionario USA a 5 anni, 10 anni, 20 anni ed infine 30 anni. ma questa volta lo facciamo rappresentando i ritorni con un grafico che appunto assume le sembianze delle montagne russe. Prendiamo in esame il mercato USA, perchè è quello su cui abbiamo più dati storici, ma anche perchè è quello che tracca l’indice principe per un investitore accorto, l’ MSCI World. Per cui l’analisi potrà essere riportata su una strategia world e dare risultati simili.

Ma quale è lo scopo di questa analisi ?

In primis, aumentare il nostro livello di conoscenza del mercato azionario e delle sue dinamiche. Ciò consentirà non solo di fare scelte più consapevoli ma anche di controllare la nostra emotività più facilmente sia nelle fasi di grande euforia, avidità e assenza di paura che nelle fasi opposte in cui prevalgono sentimenti quali il pessimismo il panico e la paura. A volte non è facile mantenere il sangue freddo in presenza di alcuni investimenti potenzialmente profittevoli tuttavia se si ha alle spalle una solida preparazione e cultura finanziaria, un corretto stato psicologico ed il controllo del rischio, un capitale investito adeguato, si può ragionevolmente affrontare qualsiasi mercato finanziario avendo buone probabilità di guadagno nel tempo.

Per cui ricordiamoci che l’obiettivo è migliorare il nostro rapporto rendimento/rischio utilizzando tutte le strategia possibili (pac, analisi dei trend, fondi 60/40) per avere il migliore rapporto possibile.

Ma andiamo a vedere queste montagne russe e partiamo dalla slide a 5 anni

Roller Coaster 5 anni

Immagina di aver investito 5 anni fa (2017) 10.000 euro sul mercato azionario USA (S&P 500). Immagina anche di non essere stato per nulla influenzato da nessuna notizia e quindi di aver mantenuto fede al tuo investimento iniziale. Oggi avreste un rendimento reale (al netto dell’inflazione) annuo pari al 15,35% ed un capitale finale pari a 24.440 euro. Il grafico ci dice anche, che se avessimo investito nel 1995 dopo 5 anni ovvero nel 2000 avremmo ottenuto un rendimento reale annuo strabiliante pari al 25,05%. Di contro, se avessimo investito nel 2004 dopo 5 anni nel 2009 avremmo ottenuto un rendimento reale annuo negativo pari al -8,12%. Così si legge la slide sulle montagne russe. In pratica nel grafico sopra vedete un indice dei prezzi che nel lungo termine è destinato inevitabilmente a crescere ma sotto vedete i ritorni a 5 anni di un investitore dal 1872 e in particolare la volatilità dei ritorni a 5 anni del mercato azionario. Abbiamo un ritorno massimo a 5 anni a 33,35% ed un minimo a -13,22%.

Chiamasi volatilità dei rendimenti lo scostamento dei rendimenti dal valore medio. E questa è la parte più difficile da accettare per un investitore ma se riusciamo ad accettarla e la conosciamo, potremmo sfruttarla a nostro favore migliorando il nostro rapporto rendimento/rischio.

La prossima slide conterrà invece i rendimenti rali annualizzati di un investitore a 10 anni.

Roller Coaster 10 anni

La prima cosa che salta all’occhio, è una palese riduzione della volatilità. Infatti il migliore decennio in termini di rendimento annualizzato dal 1872 è quello 1920-1930 con un 19,97% annualizzato ed il peggiore è quello ottenuto da un investitore che avesse investito dal 1999 al 2009 che avrebbe ottenuto un -5,93%. Quindi una minore dispersione dei rendimenti dal valore medio. Vale a dire che maggiore è l’holding period e tanto minore sarà la probabilità di avere rendimenti molto lontani dalla media ma soprattutto anche nel “worst case” si ridurrebbe la perdita subita.

Passiamo alla slide che rappresenta i ritorni annualizzati reali annui realizzati da un investitore che ha mantenuto un orizzonte a 20 anni.

Roller coaster 20 anni

Beh, senza ombra di dubbio potremmo dire che qui le montagne russe si addolciscono notevolmente fino ad assomigliare al brucomela ovvero una montagna russa dedicata ai bambini. La volatilità si smorza tantissimo, passando da un rendimento annualizzato massimo su 20 anni del 13,60% ottenuto da un investitore entrato nel 1980 ed uscito nel 2000 ed un rendimento minimo annualizzato dello -0,06% di un investitore entrato nel 1902 ed uscito nel 1922. La forchetta dei rendimenti ottenibili su orizzonte ventennale si è andata a ridurre ancora, confermando ancora una volta, che la volatilità dei rendimenti è inversamente proporzionale all’holding period dell’investitore.

In questa analisi, dulcis in fundo, non poteva mancare la slide con orizzonte temporale di 30 anni, che mostra come non vi siano mai stati ritorni annualizzati reali negativi nella storia del mercato azionario.

Roller Coaster 30 anni

Lo so già, qualcuno di voi dirà che 30 anni sono troppi per vedere risultati da un investimento. A queste obiezioni rispondo che per una parte dei nostri risparmi molti di noi possono ragionare certamente su questi orizzonti, pensiamo ad esempio al tfr accantonato da un lavoratore o ai contributi versati in un fondo pensione. Eppure nonostante la netta supremazia nel lungo termine della strategia azionaria molti risparmiatori si ostinano a fare portafogli basati sulle previsioni e non sull’orizzonte temporale che hanno davanti. Ragionando in questo modo si sono preclusi crescite dei loro capitali a doppia cifra e ciò che è peggio si precluderanno tutte le opportunità che il mercato offrirà da qui ai prossimi decenni.

Finisco con l’aggiungere che questi dati, possono anche essere utilizzati, in una gestione attiva per decidere in quali periodi tatticamente sovrappesare o sottopesare l’equity.

Buon 2022 a tutti

Pubblicato in Finanza | Contrassegnato , , , | Lascia un commento